mercoledì 30 maggio 2012

è a carico della parte attrice la dimostrazione degli elementi costitutivi dell'illecito

è necessario ricordare anche come nel giudizio risarcitorio non possa avere ingresso il metodo acquisitivo, applicato tradizionalmente al giudizio impugnatorio.

Ciò sul rilievo che, nelle controversie risarcitorie, il privato ha la piena disponibilità degli elementi di prova sui quali fonda la propria domanda di condanna e che, quindi, è suo onere esclusivo introdurli in giudizio, facendosi piena applicazione della regola generale di cui all’art. 2697 c.c. (v. art. 64 comma 1 c.p.a. e, in giurisprudenza, Cons. St., sez. VI, 24 settembre 2010, n. 7124).

Detto in altri termini, l’autonomia del giudizio risarcitorio rispetto a quello impugnatorio, affermata con particolare forza dalla Corte di Cassazione e di recente riconosciuta anche dal Consiglio di Stato al suo massimo livello (v. Ad. Plen. n. 3/2011), comporta che il primo giudizio debba svolgersi secondo canoni processuali in parte diversi ed originali rispetto alla tradizione del processo amministrativo, come risulta evidente proprio sul terreno dell’istruzione probatoria, dove è a carico della parte attrice l’onere di allegare e provare tutti gli elementi costitutivi dell’illecito (condotta, evento, nesso di causalità, colpa e danno).


Al lume di tale principio generale, nel caso di specie è evidente lo scarto tra la misura elevata del risarcimento chiesto dal privato, pari a circa cinque miliardi di vecchie lire, e la stringatezza delle allegazioni poste a fondamento dell’atto di appello, così come a suo tempo del ricorso introduttivo nel giudizio di primo grado.

Secondo la prospettazione di parte appellante, tali allegazioni sarebbero suffragate, quanto al danno emergente (costi sostenuti per l’acquisto dei macchinari), essenzialmente dalla documentazione prodotta in giudizio, e, per quanto attiene al lucro cessante, dovrebbero essere confermate (rectius, dimostrate) dall’esito di una CTU che si chiede al Collegio di disporre.

Passaggio tratto dalla decisione numero 3245 del 30 maggio 2012 pronunciata dal Consiglio di Stato

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