giovedì 1 dicembre 2011

Se il tempo è un bene della vita, il ritardo è, necessariamente, un costo

Il mancato rispetto dei tempi del procedimento in caso di mero ritardo qualifica il danno cagionato come ingiusto  e legittima ad agire per il risarcimento, nel caso di specie qualificato, anche nel quantum (secondo i principi indicati nell’Adunanza plenaria n.3/2011), dalla tempestiva impugnazione del silenzio

anche il tempo è un bene della vita per il cittadino e che il ritardo nella conclusione di qualsiasi procedimento è sempre un costo, dal momento che il fattore tempo costituisce una essenziale variabile nella predisposizione e nell’attuazione di piani finanziari relativi a qualsiasi intervento, condizionandone la relativa convenienza economica.

Sotto diverso profilo, la permanente incertezza sull’esito del procedimento che si protrae nel tempo è fonte di sicuro disturbo sul piano esistenziale, impedendo la eventuale predisposizione di programmi di vita alternativi ove fosse conseguita la certezza di non poter ottenere il bene della vita preteso.


Secondo tale impostazione, il danno sussisterebbe anche se il procedimento non fosse ancora concluso (e per effetto del solo ritardo, ove acclarato) e finanche se l’esito fosse (o fosse stato), in ipotesi, negativo (in termini Cons. Giust. Amm. Reg. Sic., 4 novembre 2010, n.1368).


Orbene, non c’è dubbio che il danno da ritardo quale componente risarcibile, per equivalente, della lesione di un interesse legittimo pretensivo è concetto cui sono riconducibili diversi contenuti cha spaziano dal diritto ad una prestazione (la tempestiva conclusione del procedimento) all’interesse al bene della vita che l’esecuzione della prestazione soddisfa (il rilascio del provvedimento favorevole).

danno è, secondo la prospettazione, causato dal mancato rispetto di termini per la conclusione del procedimento, fattispecie, come detto, sussumibile nel disposto di cui all’art. 2 bis della L. n.241/1990 secondo cui la p.a. e i soggetti ad essa equiparati sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento.


Posto che il bene protetto dalla norma è, con evidenza e in primis, il rispetto dei tempi certi del procedimento, al fine di salvaguardare la progettualità del privato e la determinazione dell’assetto di interessi dallo stesso preordinato in relazione ai tempi del procedimento medesimo, la certezza del diritto, cui è indissolubilmente collegata la puntuale definizione dei procedimenti, è non necessariamente ancorata all’ampliamento necessario della sfera soggettiva del privato; anche se il bene della vita cui lo stesso aspira al termine del procedimento ampliativo è solo un’esito eventuale del procedimento medesimo, il soggetto ha comunque diritto di sapere se la sua pretesa è o meno fondata in termini certi, o per contestare la determinazione sfavorevole e provare in sede giurisdizionale la fondatezza della pretesa originaria in tempi utili ovvero anche solo per aderire alla determinazione dell’Amministrazione e modificare, conseguentemente il proprio programma di vita.

L’inosservanza del termine ha comportato, dunque, quale immediata e pregiudizievole conseguenza, l’assoluta imprevedibilità dell’azione amministrativa e quindi l’impossibilità per il soggetto privato di rispettare la programmata tempistica dei propri investimenti.

Passaggio tratto dalla sentenza numero 548 del 21 novembre 2011 pronunciata dal Tar Abruzzo, L’Aquila

Sicché nella composita categoria possono indivuduarsi diverse tipologie di fattispecie, fra loro distinte.

La dottrina ha enucleato, esemplificando: a) l’ipotesi in cui il ritardo, produttivo del danno, è derivante dal fatto che l’amministrazione ha dapprima adottato un provvedimento illegittimo, sfavorevole al privato (ad es., diniego di costruire), e successivamente ha emanato un altro provvedimento, legittimo e favorevole, a seguito dell’annullamento, in sede giurisdizionale, del primo atto; b) l’ ipotesi in cui l’assenza di un provvedimento determina danni gravosi per il soggetto interessato e il privato invoca tutela risarcitoria per danni generati dal ritardo con cui l’amministrazione ha adottato un provvedimento a lui favorevole, ma emanato con ritardo rispetto al termine previsto per quello specifico provvedimento (ad es. permesso di costruire rilasciato con ritardo); c) l’ipotesi, ancora diversa, in cui il provvedimento amministrativo, legittimo, ma emanato con ritardo, è sfavorevole per il privato, che lamenta il danno per non aver ottenuto il tempestivo esame della propria istanza e per non aver appreso entro i termini previsti l’esito negativo del procedimento.

Il caso in esame, per le modalità in cui il procedimento amministrativo e le connesse vicende giurisdizionali si sono svolte, non può tuttavia costringersi, a rigore e allo stato, in nessuna delle tipologie sopra esaminate, posto che i ricorrenti lamentano, sì, la causazione di danni discendenti dal ritardo nell’emanazione di un atto, che, con sentenza resa all’odierna udienza, è stato dichiarato illegittimo ed annullato, ma che, per certi versi, come meglio sotto si dirà, determina (o ha determinato) comunque il ritardato riconoscimento di un bene della vita (seppure non necessariamente nella esatta consistenza sperata), concretato nella possibilità di utilizzazione economica di suoli di proprietà finora non sfruttati in assenza di riqualificazione urbanistica rispetto alla quale l’atto in questione si pone come condizione necessaria (atto obbligatorio del procedimento).

In sostanza, è vero che i ricorrenti non hanno (ancora) conseguito il bene della vita cui aspirano, ma non c’è dubbio che già risulta riconosciuto, anche in via giurisdizionale, il loro diritto/interesse all’ottenimento di una destinazione urbanistica, per i suoli di proprietà, che ne consenta la loro utilizzazione economica.

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