il silenzio-rifiuto disciplinato dall'ordinamento è istituto riconducibile a inadempienza dell'Amministrazione, in rapporto ad un sussistente obbligo di provvedere
tale obbligo può discendere dalla legge, da un regolamento o anche da un atto di autolimitazione dell'Amministrazione stessa, ed in ogni caso deve corrispondere ad una situazione soggettiva protetta, qualificata come tale dall'ordinamento
Difatti, al di là dell’obbligo normativamente imposto alla P.A. di concludere il procedimento mediante l’adozione di un provvedimento espresso e motivato (artt. 2 e 3 L. n° 241/90), appartiene ad una giurisprudenza consolidata il principio secondo cui l’Amministrazione è parimenti tenuta a pronunciarsi laddove ragioni di giustizia ed equità impongono l’adozione di un provvedimento
nonché tutte le volte in cui, in relazione al dovere di correttezza e di buona amministrazione, sorga per il privato una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle determinazioni amministrative, qualunque esse siano
Quanto alla richiesta espressa in ricorso in ordine alla declaratoria della fondatezza dell’istanza rimasta inevasa, il comma 5 dell'art. 2, l. n. 241 del 1990 (il quale prevede che il giudice amministrativo possa conoscere della fondatezza dell'istanza prodotta dall'interessato alla P.A. e sulla quale si è formato il silenzio inadempimento) deve essere integrato con l'art. art. 31 c.p.a il quale ha specificato, alla luce dei precedenti giurisprudenziali in materia, che ciò è possibile "solo quando si tratta di una attività vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori che debbono essere compiuti dall'amministrazione".
Passaggio tratto dalla sentenza numero 1766 del 14 ottobre 2011 pronunciata dal Tar Puglia, Lecce
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