sabato 8 ottobre 2011

Non può essere escussa la cauzione provvisoria in caso di errata interpretazione del bando e dimostrato possesso dei requisiti dichiarati

Il Tar annulla l’escussione della provvisoria, ma non anche l’esclusione, per errata intepretazione delle norme di gara sui requisiti di ordine speciale

Fattispecie di errata applicazione della norma di cui all’articolo 48 del codice dei contratti in tema di sorteggio dei requisiti di ordine speciale e conseguente escussione della cauzione provvisoria

Qualora l’impresa non ha dichiarato nulla di diverso e di più di ciò di cui è realmente in possesso, ma ha errato nel valutare sufficiente il requisito posseduto, non ha senso irrogare sanzioni_quali l’escussione della cauzione provviosoria_ che vadano oltre la fisiologica esclusione dell’impresa dalla gara.



sono inapplicabili le sanzioni nei casi in cui un'impresa abbia errato in ordine all'interpretazione del bando ritenendo di avere il requisito in realtà carente o contestato

in tali evenienze, nelle quali l'impresa non ha dichiarato nulla di diverso o di più di ciò di cui è realmente in possesso, non avrebbe senso irrogare sanzioni che vadano oltre la fisiologica esclusione dell'impresa della gara (Consiglio di Stato, sezione sesta, 23.006, numero 3981);


conseguentemente va dichiarata l’improcedibilità del ricorso per rinuncia per le doglianze relative alla esclusione della ricorrente e l’accoglimento del ricorso nella parte in cui postula l'annullamento dell'applicazione delle sanzioni previste dall'articolo 48 citato

SI LEGGA ANCHE
Consiglio di Stato, sezione sesta, 23.006, numero 3981

<<     Si ricorda che gli atti impugnati sono stati annullati per l’errata applicazione dell’art. 10, comma 1 quater, della legge n. 109/94.

     Tale comma prevede una verifica a campione tra i partecipanti alle gare di appalto per lavori pubblici, estesa all’aggiudicatario e al secondo classificato, per la dimostrazione del possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa, richiesti nel bando di gara; con la medesima disposizione viene stabilito che “quando tale prova non sia fornita, ovvero non confermi le dichiarazioni contenute nella domanda di partecipazione o nell'offerta, i soggetti aggiudicatori procedono all'esclusione del concorrente dalla gara, alla escussione della relativa cauzione provvisoria e alla segnalazione del fatto all'Autorità per i provvedimenti di cui all'articolo 4, comma 7, nonché per l'applicazione delle misure sanzionatorie di cui all'articolo 8, comma 7”.

     Nel caso di specie, le misure previste dalla citata norma sono state applicate alla ricorrente, solo perché non aveva i requisiti per partecipare alla gara, e non per aver reso dichiarazioni non veritiere o per non aver risposto alla richiesta prevista dal citato comma 1 quater.

     Il dato letterale della norma appare chiaro circa l’inapplicabilità delle sanzioni nei casi, in cui un’impresa in buona fede abbia errato in ordine alla interpretazione del bando o della normativa generale ed abbia ritenuto di avere il requisito in realtà carente o contestato.

     Come rilevato dal Tar, in tali evenienze, nelle quali l’impresa non ha dichiarato nulla di diverso e di più di ciò di cui è realmente in possesso, ma ha errato nel valutare sufficiente il requisito posseduto, non ha senso irrogare sanzioni che vadano oltre la fisiologica esclusione dell’impresa dalla gara.

     Si trattava, peraltro, di una norma entrata in vigore da oltre un anno e in relazione alla quale era già stata emanata un circolare del Ministero dei lavori pubblici, che chiariva come la verifica a campione dovesse riguardare solo le imprese ammesse a concorrere, e non anche le imprese escluse, come la ricorrente.

     Tale circolare del 25 ottobre 1999 è antecedente alla data dell’impugnato provvedimento (19-1-2000).

     Tale interpretazione è stata poi ribadita dall’Atto di regolazione dell’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici n. 15 del 30-3-2000.

     Il Tar ha evidenziato che, essendo tale atto successivo alla data dell’impugnato provvedimento, l’errore commesso dall’amministrazione doveva ritenersi scusabile.

     Si rileva che la scusabilità dell’errore deve essere, invece, esclusa perché il dato letterale delle norme appariva chiaro anche prima dei citati atti interpretativi e perché comunque il Ministero aveva fornito la corretta interpretazione fin dal 1999.

     Va, inoltre, rilevato che nello stesso Atto di regolazione dell’Autorità di vigilanza si fa riferimento all’esercizio dei poteri di autotutela in caso di errore nell’applicazione del citato art. 10, comma 1 quater.

     L’INAIL ha fatto presente di aver deciso di attendere l’esito del giudizio, senza uniformarsi all’Atto dell’Autorità, che non ha il carattere dell’interpretazione autentica e vincolante.

     Pur essendo vero che gli atti di regolazione dell’Autorità di vigilanza non hanno alcun carattere vincolante, la decisione dell’INAIL di attendere l’esito del giudizio implica la scelta di non esercitare i propri poteri di autotutela.

     Anche tale scelta va valutata ai fini della configurabilità, o meno, dell’errore scusabile, in quanto è evidente come il danno sarebbe stato inesistente, o comune attenuato, se a breve distanza dall’adozione dell’atto impugnato l’INAIL avesse fatto uso dei propri poteri di autotutela, invece non esercitati neanche dopo la archiviazione della segnalazione da parte dell’Autorità di vigilanza, avvenuta il 5 giugno 2000.

     Il fatto che tali poteri non siano stati esercitati dopo l’Atto di regolazione dell’Autorità di vigilanza e neppure dopo l’archiviazione della segnalazione da parte della stessa Autorità conferma l’assenza di scusabilità dell’errore, e della scelta di “tenere fermo l’errore”.

     In generale, va rilevato come, prima delle novità giurisprudenziali e normative in seguito alle quali sono stati eliminati i limiti “angusti” entro cui la p.a. poteva essere chiamata a rispondere in via risarcitoria, prevaleva una prassi tendente ad una netta separazione tra contenzioso ed amministrazione attiva: dopo aver concluso il procedimento amministrativo e in presenza di contestazioni mosse in sede giurisdizionale, l’amministrazione si limitava a difendersi in giudizio, attendendone l’esito.

     Oggi, la mera attesa dell’esito del giudizio può a volte esporre l’amministrazione alla condanna ad un consistente risarcimento del danno; ciò comporta che l’amministrazione deve saper valutare autonomamente le contestazioni al fine di verificare se ricorrano, o meno, i presupposti per l’esercizio dei poteri di autotutela.

     Nel caso di specie, ha errato l’amministrazione a ritenere che tali presupposti non sussistessero soprattutto dopo l’Atto di regolazione dell’Autorità di vigilanza.

     Sulla base di tali considerazioni deve, quindi, ritenersi sussistente l’elemento della colpa dell’INAIL, non essendo, invece, necessario accertare per la p.a. come apparato anche la colpa grave, come erroneamente dedotto dall’INAIL (è pacifico che le amministrazioni rispondano a titolo di colpa, anche lieve, senza che sia necessario che emerga la gravità della colpa).>>


sentenza numero del 1467 del 6 ottobre 2011 pronunciata dal Tar Veneto, Venezia

Nessun commento:

Posta un commento