lunedì 14 marzo 2011

nullità dei contratti di assicurazione con cui un ente pubblico assicura i propri amministratori

Per quanto attiene al profilo dell’inesistenza, al momento della stipula delle polizze, di un espresso divieto di legge che, secondo parte appellante sarebbe stato introdotto nell’ordinamento solo dall’art. 3, comma 59 della legge 24 dicembre 2007 n. 244, il Collegio ribadisce innanzitutto, ed in conformità di un indirizzo giurisprudenziale ormai consolidato sulla base dei principi posti dalle Sezioni Riunite con sentenza n. 707 del 5 aprile 1991, che

il pagamento da parte di un Ente locale dei premi assicurativi per polizze stipulate a favore dei dipendenti ed amministratori a copertura delle conseguenze derivanti da sentenze di condanna della Corte dei conti che discendano da illeciti amministrativi posti in essere dagli stessi nei confronti dell’Ente medesimo costituisce danno per l’erario, in quanto privo di sinallagma per la P.A. e non rispondente ad alcun pubblico interesse (da ultimo, nel contesto di una giurisprudenza consolidata, Sez. Giur. Sicilia, 4 marzo 2008 n. 734..

Ciò posto, ricorda il Collegio che la norma richiamata dall’appellante ha disposto la nullità dei contratti di assicurazione con cui un ente pubblico assicuri i propri amministratori per i rischi derivanti dall’espletamento dei compiti istituzionali connessi con la carica e riguardanti anche la responsabilità contabile, stabilendo, inoltre, che i contratti in corso cessino di avere efficacia alla data del 30 giugno 2008 e che sia l’amministratore il quale ponga in essere o proroghi tali contratti sia il beneficiario della copertura assicurativa siano tenuti al rimborso, a titolo di danno erariale, di una somma pari a dieci volte l’ammontare dei premi complessivamente stabiliti nelle polizze in questione.

Dall’esame testuale della norma stessa, emerge non già una funzione innovativa volta ad introdurre nell’ordinamento un divieto inesistente prima della sue entrata in vigore, bensì – come ha correttamente riconosciuto la più recente giurisprudenza (Sez. giur. Sicilia, n. 734 cit.) cui il Collegio ritiene di dover aderire – una valenza ricognitiva di un divieto già insito nel sistema e consacrato dalla costante ed uniforme giurisprudenza ed una valenza sanzionatoria (valevole ovviamente per le fattispecie realizzatesi solo dopo la entrata in vigore della norma ) che colpisce sia gli autori dell’illecito che i beneficiari: ne consegue, l’irrilevanza del richiamo operato dall’appellante della disposizione in esame per inferirne la legittimità del proprio comportamento

tratto dalla sentenza numero 108 del 19 febbraio 2010 pronunciata dalla Corte dei conti – Sezione Terza Centrale d’Appello

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