giovedì 14 febbraio 2013

bisogna sempre evitare che si verifichi un’indebita, sproporzionata o irruzione compressione della concorrenza

possibilità di impedire l'ammissione a gara nei confronti delle ATI c.d. “sovrabbondanti”

Non sfugge certo al Collegio che la clausola in parola, nel riferirsi a pronunciamenti dell’AVCP sui possibili effetti anticoncorrenziali della partecipazione a gara delle ATI sovrabbondanti, assolve appunto a tal funzione, discendente dall’obbligo della stazione appaltante d’assicurare la maggior concorrenzialità possibile nella specifica procedura di gara.

Come si vede, il divieto di tal tipo di ATI non è posto in assoluto, né sarebbe legittimamente possibile, stante l’evidente favor del diritto comunitario alla partecipazione alle gare ad evidenza pubblica anche dei soggetti riuniti, al di là della forma giuridica di tale loro aggregazione. Il divieto, come d’altronde ogni limite quantitativo all’ingresso di operatori in un dato mercato competitivo, anche regolato, serve a garantire che non si verifichi un’indebita, sproporzionata o irruzione compressione della concorrenza nella specifica gara.
Di converso, il divieto va interpretato secondo gli ordinari canoni di valutazione di coerenza della fonte con le regole ed i principi costituzionali e comunitari, ossia precludendo siffatta partecipazione con riguardo alle evidenze del mercato proprio dell’appalto e nei soli limiti in cui ciò è necessario. Da ciò discende, per un verso, il carattere non immediatamente escludente della clausola e, per altro verso, la necessità di fornire un serio principio di prova dell’interesse concreto e differenziato, ossia del bisogno giuridico dell’appellante di partecipare alla gara nella modalità di ATI sovrabbondante ed in quella sola peculiare modalità.

passaggio tratto dalla decisione  numero 689 del 5  febbraio  2013 pronunciata dal Consiglio di Stato
L’appello principale è infondato e va respinto, nei limiti e per le considerazioni qui di seguito indicate.
Ha con ogni evidenza carattere assorbente la questione posta dall’appellante, che non ha presentato la domanda di partecipazione alla gara, contro le regole di non ammissione a gara nei confronti delle ATI c.d. “sovrabbondanti”, di cui essa afferma l’effetto immediatamente preclusivo, visto che impedisce il suo raggruppamento con altre imprese della medesima natura.
Rettamente il TAR ha considerato inammissibile tale doglianza, giacché l’appellante non ha comprovato la sua intenzione di partecipare in ATI c.d. “sovrabbondanti” alla gara. Ma siffatta dimostrazione è stata ritenuta necessaria anche dalla Sezione in vicenda analoga (cfr. Cons. St., III, 11 giugno 2012 n. 3402), dal cui precedente conforme il Collegio non ha motivo di discostarsi.
Invero, l’appellante s’è lamentata della predetta clausola, mentre non ha fornito la dimostrazione d’un progetto d’offerta, atto a qualificare l’interesse vantato quale necessario prius logico rispetto alla valutazione dell’eventuale illegittimità della clausola stessa. Non basta predicare l’illegittimità, ma occorre dar contezza che l’interesse azionato sia non già di mero fatto o, il che è in pratica lo stesso, basato su una mera ipotesi di possibile ed eventuale ATI ‘sovrabbondante’ con terzi. Occorre che l’interesse sia qualificato dalla dimostrazione d’una seria chance di offerta spendibile in quella gara coeteris paribus e senza dover attendere l’eventuale rinnovazione di essa. Altrimenti, tal interesse non è diverso da quello di qualsiasi altro operatore del settore che non ha inteso partecipare alla gara stessa per i più diversi motivi e che, pur tuttavia, spera nella caducazione dell'intera selezione. Né a qualificare l’interesse dell’appellante basta la sottoscrizione d’un preliminare di raggruppamento di imprese con un’altra Società, anch’essa già da sola qualificata alla gara, giacché questo è stato stipulato il 16 luglio, ossia ben dopo non solo il termine per la presentazione delle istanze di partecipazione alla gara, ma addirittura la pubblicazione della sentenza appellata.
Non sfugge certo al Collegio che la clausola in parola, nel riferirsi a pronunciamenti dell’AVCP sui possibili effetti anticoncorrenziali della partecipazione a gara delle ATI sovrabbondanti, assolve appunto a tal funzione, discendente dall’obbligo della stazione appaltante d’assicurare la maggior concorrenzialità possibile nella specifica procedura di gara.
Come si vede, il divieto di tal tipo di ATI non è posto in assoluto, né sarebbe legittimamente possibile, stante l’evidente favor del diritto comunitario alla partecipazione alle gare ad evidenza pubblica anche dei soggetti riuniti, al di là della forma giuridica di tale loro aggregazione. Il divieto, come d’altronde ogni limite quantitativo all’ingresso di operatori in un dato mercato competitivo, anche regolato, serve a garantire che non si verifichi un’indebita, sproporzionata o irruzione compressione della concorrenza nella specifica gara. Di converso, il divieto va interpretato secondo gli ordinari canoni di valutazione di coerenza della fonte con le regole ed i principi costituzionali e comunitari, ossia precludendo siffatta partecipazione con riguardo alle evidenze del mercato proprio dell’appalto e nei soli limiti in cui ciò è necessario. Da ciò discende, per un verso, il carattere non immediatamente escludente della clausola e, per altro verso, la necessità di fornire un serio principio di prova dell’interesse concreto e differenziato, ossia del bisogno giuridico dell’appellante di partecipare alla gara nella modalità di ATI sovrabbondante ed in quella sola peculiare modalità.
Se, dunque, la non partecipazione dell’appellante alla gara per cui è causa discende non da una clausola, come si vede, non affetta dai vizi censurati, bensì da una scelta personale di detta Società, allora essa non è che un qualunque soggetto di diritti estraneo al procedimento di gara e, come tale, non ha titolo legittimo per sindacarne lo svolgimento, l’esito e gli effetti verso i (ed a favore dei) reali partecipanti.

a cura di Sonia Lazzini

decisione numero 689 del 5  febbraio  2013 pronunciata dal Consiglio di Stato

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