martedì 24 luglio 2012

l’interesse “strumentale” rinnovazione della gara può essere comune a più concorrenti

Nel caso dei contratti pubblici, il bene della vita cui i concorrenti aspirano è uno ed uno solo ed è costituito dall’aggiudicazione della gara,

per cui l’attribuzione del bene ad uno dei concorrenti esclude l’attribuzione anche ad altri concorrenti ed è proprio l’attribuzione del bene a chi è stato dichiarato aggiudicatario che il ricorrente principale mira a contestare ed il controinteressato aggiudicatario, quale ricorrente incidentale, mira a conservare.


Insomma, gli interessi “finali” di due o più concorrenti all’aggiudicazione di una stessa gara sono tra loro ontologicamente opposti ed incompatibili, atteso che la soddisfazione dell’interesse “finale” dell’uno pregiudica necessariamente la soddisfazione degli altri.
Viceversa, come si avrà modo di vedere infra, l’interesse “strumentale” alla rinnovazione della gara può essere comune a più concorrenti.

L’aggiudicazione provvisoria di un appalto ha natura di atto endoprocedimentale in quanto l’eventuale aggiudicazione definitiva non è un atto meramente confermativo dell’aggiudicazione provvisoria, ma è l’atto di amministrazione attiva con cui la stazione appaltante individua il suo contraente nell’imprenditore che ha formulato la migliore offerta.
In altri termini, l’aggiudicazione definitiva, anche quando recepisce integralmente i risultati dell’aggiudicazione provvisoria, postula una nuova ed autonoma valutazione (cfr. Cons. St., III, 7 maggio 2012, n. 2613; Cons. St., V, 23 novembre 2010, n. 8153).
L’aggiudicazione provvisoria di un appalto, pertanto, come atto di natura endoprocedimentale, non è idonea a produrre la lesione definitiva della sfera giuridica dell’impresa vincitrice, lesione che si attualizza soltanto con l’aggiudicazione definitiva.
Seguendo tale traiettoria argomentativa, l’impugnazione dell’aggiudicazione provvisoria costituisce per l’impresa interessata una facoltà e non un obbligo, fermo restando, per chi si sia avvalso di tale facoltà, l’onere di impugnare il successivo atto di aggiudicazione definitiva in quanto, in assenza di tale ulteriore impugnativa, il ricorso proposto avverso l’aggiudicazione provvisoria non potrebbe sottrarsi alla declaratoria di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse.
L’attribuzione del bene della vita, invece, avviene con l’aggiudicazione definitiva, tanto che la giurisprudenza ha ritenuto che ove, in sede di autotutela, la stazione appaltante si determini al ritiro degli atti di gara non è tenuta a darne previa comunicazione, ai sensi dell’art. 7 l. n. 241 del 1990, al destinatario dell’aggiudicazione provvisoria la quale non è idonea ad ingenerare il connesso legittimo affidamento che impone l’instaurazione del contraddittorio (cfr. Cons. St., V, 5 aprile 2012, n. 2007).

Il Collegio, pur consapevole del differente approdo al quale è giunta la Terza Sezione del Consiglio di Stato con la sentenza n. 2613 del 7 maggio 2012, ritiene che la decorrenza del termine per la proposizione del ricorso incidentale debba essere individuata non già dalla notificazione dell’impugnazione avverso l’aggiudicazione provvisoria, ma dalla notificazione dell’impugnazione avverso l’aggiudicazione definitiva, nella fattispecie avvenuta con il secondo atto di motivi aggiunti, proprio perché solo con quest’ultima si ha l’attribuzione stabile del bene della vita e sorge un legittimo affidamento dell’aggiudicatario.
Diversamente, si attribuirebbe alla mera volontà del ricorrente principale - il quale, si ribadisce, ha la facoltà e non l’obbligo di impugnare l’aggiudicazione provvisoria e che comunque per evitare l’improcedibilità del ricorso ha l’onere di impugnare anche l’aggiudicazione definitiva – la possibilità di anticipare il dies a quo per la proposizione del ricorso incidentale, laddove l’aggiudicazione definitiva potrebbe anche non intervenire ed il bene della vita non essere realmente attribuito.
Tale soluzione non appare coerente con il complessivo assetto degli interessi in gioco, atteso che il controinteressato, per non incorrere nello spirare del relativo termine decadenziale, sarebbe costretto all’immediata costituzione in giudizio ed all’immediata proposizione dell’impugnativa incidentale, con conseguente sacrificio, anche in termini economici, nell’incertezza sull’effettiva attribuzione del bene della vita.
In altri termini, il Collegio ritiene che, così come per il ricorrente principale l’impugnativa dell’aggiudicazione provvisoria costituisce una facoltà e non un obbligo, per il controinteressato la proposizione del ricorso incidentale a seguito della notifica del ricorso avverso l’aggiudicazione provvisoria costituisce una mera facoltà, mentre l’onere di proporre tempestivamente il ricorso incidentale sorge con l’impugnazione dell’aggiudicazione definitiva.
Altrimenti, come detto, l’aggiudicatario provvisorio potrebbe essere costretto ad una inutile e dispendiosa, anche da un punto di vista economico, attività difensiva sia nell’ipotesi di mancata adozione dell’aggiudicazione definitiva sia nell’ipotesi di omessa impugnazione dell’aggiudicazione definitiva.


Il dies a quo per la proposizione del ricorso incidentale, in conclusione, decorre dalla notificazione del ricorso con cui è impugnato il provvedimento che ha attribuito effettivamente e stabilmente il bene della vita al controinteressato, vale a dire, nel caso di specie, l’aggiudicazione definitiva e, rispetto ai motivi aggiunti con i quali è stata proposta l’azione di annullamento avverso la stessa, il ricorso incidentale si presenta tempestivo.


PASSAGGIO tratto dalla sentenza numero 6418 del 13 luglio 2012 pronunciata dal Tar Lazio, Roma

riflessione su alcuni istituti del processo amministrativo.

Il diritto al ricorso nel processo amministrativo sorge in conseguenza della lesione attuale di un interesse sostanziale e tende ad un provvedimento giurisdizionale idoneo, se favorevole, a rimuovere quella lesione.
Condizioni soggettive per agire in giudizio, quindi, sono la legittimazione ad agire (detta anche legittimazione processuale) e l’interesse a ricorrere: la prima spetta a colui che affermi di essere titolare della situazione giuridica sostanziale in ipotesi ingiustamente lesa dal provvedimento amministrativo.
La possibilità di proporre un’azione impugnatoria di provvedimenti amministrativi, al di là di specifiche ipotesi contemplate dalla legge, infatti, non è concessa a chiunque in qualità di cittadino intenda censurare l’esercizio del potere pubblico, vale a dire uti cives, ma soltanto al titolare di una posizione di interesse legittimo e cioè di una posizione qualificata e differenziata rispetto alla posizione di tutti gli altri membri della collettività, vale a dire uti singulus.
La posizione legittimante alla proposizione del ricorso, quindi, è caratterizzata dalla differenziazione e dalla qualificazione.
La prima qualità può discendere dall’atto amministrativo quando esso incide immediatamente nella sfera giuridica del soggetto ovvero può rinvenirsi nel collegamento tra la sfera giuridica individuale ed il bene della vita oggetto della potestà pubblica quando l’atto esplica effetti diretti nella sfera giuridica altrui e, in ragione di tali effetti, è destinato ad interferire sulla posizione sostanziale del ricorrente.
Peraltro, ai fini della configurazione della posizione sostanziale legittimante l’azione, non è sufficiente che sussista un qualsiasi interesse differenziato, rispetto a quello di altri soggetti, al corretto esercizio del potere amministrativo, ma è necessario anche che l’interesse individuale sia qualificato, sia cioè considerato dalla norma attributiva del potere, nel senso che tale norma, o l’ordinamento nel suo complesso, deve prendere in considerazione, oltre l’interesse pubblico che è precipuamente preordinata a soddisfare, anche l’interesse individuale privato su cui va ad incidere l’azione amministrativa.
L’interesse al ricorso, invece, consiste in un vantaggio pratico e concreto, anche soltanto eventuale o morale, che può derivare al ricorrente dall’accoglimento dell’impugnativa e richiede che l’atto impugnato abbia prodotto una lesione diretta, attuale e concreta nella sfera giuridica del destinatario.
Ne consegue che, per la sussistenza dell’interesse alla proposizione del ricorso, è necessario che la lesione sia attuale e concreta, mentre l’interesse può essere anche eventuale, sicché l’interesse alla rinnovazione della gara deve ritenersi evidentemente sussistente sia perché il concorrente è leso in via diretta ed attuale dall’aggiudicazione in favore dell’altro concorrente, sia perché un interesse, anche solo eventuale, sicuramente sussiste.
D’altra parte, anche ove costituisca un dato di fatto oggettivo che la gara non potrebbe essere rinnovata - ad esempio per la sicura insussistenza della disponibilità finanziaria a causa dell’intervenuta scadenza di un finanziamento pubblico - e, quindi, nel caso in cui la mancata rinnovazione sia il frutto di una scelta vincolata e non discrezionale, il ricorso principale potrebbe essere dichiarato improcedibile per tale ragione, ma potrebbero comunque residuare l’interesse e la legittimazione a proporre l’azione risarcitoria ai sensi dell’art. 34, co. 3, c.p.a.

La sopravvenuta inutilità per il ricorrente principale di ottenere l’annullamento del provvedimento impugnato, quindi, non determinerebbe affatto la dequotazione del proprio interesse legittimo ad interesse di mero fatto, ma potrebbe determinare semmai l’esigenza di proporre l’azione di risarcimento dei danni congiuntamente o in luogo dell’azione di annullamento.

In definitiva, il c.d. interesse strumentale alla rinnovazione della gara da parte del concorrente che abbia legittimamente partecipato è un interesse giuridicamente qualificato e tutelato e non un interesse di mero fatto, avendo come sua specificità, come per ogni altro interesse strumentale, la circostanza che il bene della vita al quale aspira il ricorrente non è conseguibile immediatamente, in esito all’annullamento, ma solo eventualmente, a seguito del rinnovato esercizio del potere amministrativo.

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