venerdì 13 aprile 2012

La gara va rifatta a partire dalla verifica dell’anomalia_saranno ancora valide le cauzioni provvisorie?

In conclusione il motivo concernente il difetto di istruttoria e di motivazione è fondato e deve essere accolto, conseguendone l’annullamento dell’aggiudicazione e la necessità di rinnovare gli atti della gara relativi alla (sola) verifica di anomalia, attraverso un supplemento di istruttoria e, all’esito, in ogni caso, una più ampia motivazione da parte dell’amministrazione per verificare in concreto la serietà e l’effettiva sostenibilità, nell’esecuzione del contratto, dell’offerta economica, il tutto a garanzia dell’interesse pubblico, cui è preordinato il servizio, non meno che della leale concorrenza tra le imprese partecipanti alla gara.






Con particolare riferimento al grado di motivazione richiesto nel caso in cui la verifica di anomalia si concluda positivamente, sempre in linea generale possono distinguersi due orientamenti di massima


Secondo un primo orientamento, prevalente in giurisprudenza, nelle ipotesi in cui la verifica abbia esito positivo (pervenendosi, come è avvenuto nel caso in esame, ad un giudizio di non anomalia dell’offerta), la motivazione può essere meno accurata di quella richiesta in caso di verifica negativa, con la precisazione peraltro che ciò non equivale ad ammettere l’integrale omissione della motivazione, occorrendo pur sempre fare richiamo alle giustificazioni fornite dal concorrente, a condizione però che queste siano state complete ed esaustive (cfr., per tutte, Cons. st., sez. VI, n. 3902/2011 e 5191/2006).

6.3. Secondo una diversa tesi, invece, l'obbligo di (una adeguata) motivazione si impone non solo nel caso di giudizio finale negativo, ma anche nel caso di giudizio finale positivo e ciò sia in ossequio all'obbligo generale di motivazione dei provvedimenti amministrativi, sia a tutela, negli appalti, della par condicio dei concorrenti (Cons. St., sez. IV, n. 1231/2005).

6.4. In questa materia, tuttavia, può risultare fuorviante una disamina degli orientamenti interpretativi condotta esclusivamente in termini generali e di massima (ossia basata sulle “massime” di giurisprudenza reperibili nelle apposite raccolte, e redatte generalmente senza espliciti riferimenti alle particolarità della fattispecie).

Ed invero, il problema della sufficienza o insufficienza della motivazione dell’atto con cui si accettano le giustificazioni si pone in termini notevolmente diversi a seconda del grado e del tipo di anomalia che abbia dato motivo alla verifica dell’offerta.

E’ infatti verosimile che qualora si proceda alla verifica a norma dell’art. 86, comma 2, del codice dei contratti – e cioè a motivo del fatto che l’offerta migliore abbia riportato un punteggio non inferiore ai quattro quinti del massimo tanto per l’aspetto tecnico quanto per l’aspetto economico, ma senza alcun altro indizio oggettivo di anomalia – non occorra una motivazione particolarmente approfondita. In un caso del genere, non si dovrebbe neppure parlare di offerta sospetta di anomalia, bensì solo di verifica imposta per legge.

Altro è da dire nel caso in cui l’offerta presenti profili oggettivi ed evidenti di anomalia. A maggior ragione poi se le giustificazioni che vengono date si presentano a loro volta come tali da sollevare altri dubbi piuttosto che risolverli. In tale ipotesi una motivazione del tutto assente o gravemente lacunosa non solo impedisce al giudice di ricostruire l’iter logico che ha guidato l’amministrazione nella sua scelta, ma pregiudica anche la stessa possibilità di verificare l’attendibilità delle valutazioni tecniche effettuate sotto il profilo della loro correttezza.

Passaggio tratto dalla decisione numero 2073 dell’11 aprile 2012 pronunciata dal Consiglio di Stato

Nel caso di specie, pertanto, non può ritenersi che le giustificazioni fornite dalla concorrente sottoposta alla verifica di anomalia fossero davvero complete ed esaustive, tanto da giustificare, in ipotesi, una motivazione (solo) per relationem.

7.1. Delle articolate censure sollevate da parte ricorrente all’indirizzo della prima classificata in graduatoria, reputa il Collegio di dovere fermare la propria attenzione su quella concernente l’utile di impresa.

7.2. Sul punto, se è vero che la giurisprudenza amministrativa è orientata in prevalenza nel senso di ritenere che un utile di impresa esiguo non denota di per sé l'inaffidabilità dell'offerta economica (v. Cons. St., sez. IV, n. 882/2002; TAR Lazio, sez. III, n. 7338/2004; TAR Lazio, sez. I-bis, n. 6200/2006), è altrettanto vero che, secondo l’opinione generale, l'utile non può ridursi ad una cifra meramente simbolica.

Si afferma infatti comunemente che gli appalti debbono pur sempre essere affidati ad un prezzo che consenta un adeguato margine di guadagno per le imprese, ritenendosi che le acquisizioni in perdita porterebbero gli affidatari ad una negligente esecuzione, oltre che ad un probabile contenzioso (v., per tutti, Tar Lombardia, Milano, sez. I, n. 3049/2008).

L’interesse del committente pubblico a poter confidare sulla regolare esecuzione del servizio deve ritenersi prevalente su quello dell’impresa, frequentemente invocato in questi casi, ad eseguire comunque (ossia, anche in perdita o con utile aziendale pari a zero) un appalto al fine di acquisire esperienza professionale e fatturato da utilizzare in vista della partecipazione a futuri appalti (cfr. Tar Puglia, Lecce, sez. II, n. 1398/2007; Tar Piemonte, sez. II, n. 2217/2007 ).

Simile assunto, osserva il Collegio, è un portato dei principi generali posti a garanzia della serietà dell’offerta e della corretta esecuzione del contratto e trova applicazione anche a prescindere dal fatto che, nel singolo caso di specie, la legge di gara non stabilisse una percentuale minima dell’utile d’impresa e, in termini più generali, non constino previsioni normative in tal senso.

7.3. Dopodiché, se è vero che in astratto qualunque soglia minima fissata convenzionalmente in modo troppo rigido potrebbe essere opinabile (per un precedente nel quale, ad esempio, è stato ritenuto di rilevante esiguità un utile d’impresa pari al 3% v. Tar Sicilia, Palermo, sez. I, n. 1660/1999), appare tuttavia incontrovertibile, nel caso concreto in esame, che la misura indicata da Controinteressata – pari ad appena 15.000,00 euro per l’intero triennio, rapportati ad un appalto la cui base d’asta era di euro 2.451.843,03 - sollevi più di qualche dubbio sull’affidabilità della sua offerta economica e comunque imponesse, almeno in questo caso, una motivazione più accurata da parte della stazione appaltante.

7.4. Inoltre, anche supponendo che sia consentito all’impresa rinunciare all’utile, o ridurlo ad una entità praticamente simbolica (come nella fattispecie), tale scelta imprenditoriale sarà accettabile solo a condizione che gli altri elementi del quadro economico non siano a loro volta squilibrati e fuori mercato.

Nella presente vicenda, come sottolineato dalla difesa di parte appellante, la controinteressata ha offerto un ribasso pari a circa un terzo della base d’asta.

L’azzeramento, o quasi, dell’utile non basta da solo a giustificare un ribasso così significativo. Per raggiungerlo, l’impresa ha dovuto sottostimare varie altre componenti di spesa: ha calcolato, per esempio, un costo medio del lavoro che si discosta dalle tabelle ministeriali. La misura di tale scostamento, sebbene contenuta in astratto, può non esserlo in concreto, alla luce proprio dell’esiguità dell’utile indicato, che non potrebbe garantire in alcun modo il benché minimo imprevisto nel corso dell’esecuzione del rapporto. Né, per giustificare tale scostamento, la Controinteressata ha dimostrato di giovarsi di eventuali benefici o sgravi fiscali, limitandosi a fornire giustificazioni piuttosto generiche, quasi di stile.

7.5. La stessa genericità caratterizza le giustificazioni fornite anche in ordine altre voci di costo, quali in particolare quelle concernenti le derrate alimentari, lo smaltimento dei rifiuti, i materiali per lo svolgimento del servizio, tutte contrassegnate da notevoli e non comuni risparmi di spesa e, ciò nonostante, privi di qualunque riscontro. Per fare solo l’esempio delle derrate alimentari, l’affermazione di poter contare su “condizioni eccezionalmente favorevoli”, presso i propri fornitori, è da sola del tutto generica, in assenza di indicazioni più circostanziate (quali fatture e listini prezzi, che l’amministrazione avrebbe potuto e dovuto acquisire). Ma già sulla base della semplice lettura dei dati offerti dalla Controinteressata, è agevole rilevare come ciascuno di tali dati sia calibrato al ribasso - per fare alcuni esempi, il costo medio dei primi piatti è calcolato pari ad euro 0,20, quello dei secondi ad euro 0,85, quello delle bevande ad euro 0,20 - come se la generalità degli utenti mangiasse sempre e solamente pasta in bianco e bevesse acqua naturale. Per cui basterebbe che l’utenza si orientasse in prevalenza su pietanze appena più costose e optasse per bevande differenti, come non appare improbabile e come anzi corrisponde ad una massima di comune esperienza, e la sostenibilità dell’intera offerta economica ne risentirebbe, perché ciò provocherebbe una ulteriore riduzione dell’utile di impresa che potrebbe anche diventare negativo.

Dal che ne consegue come vi sia stata, sul punto, una carenza di istruttoria che si è tradotta in una motivazione incompleta e per questo carente.

In conclusione il motivo concernente il difetto di istruttoria e di motivazione è fondato e deve essere accolto, conseguendone l’annullamento dell’aggiudicazione e la necessità di rinnovare gli atti della gara relativi alla (sola) verifica di anomalia, attraverso un supplemento di istruttoria e, all’esito, in ogni caso, una più ampia motivazione da parte dell’amministrazione per verificare in concreto la serietà e l’effettiva sostenibilità, nell’esecuzione del contratto, dell’offerta economica, il tutto a garanzia dell’interesse pubblico, cui è preordinato il servizio, non meno che della leale concorrenza tra le imprese partecipanti alla gara.

Le restanti domande, relative al contratto di appalto ove già stipulato o, in alternativa, al risarcimento del danno per equivalente, in quanto avanzate solamente in appello con la memoria del 9.2.2012, peraltro non notificata alle controparti, sono tardive a norma dell’art. 104 c.p.a.

Resta comunque ferma la possibilità di formulare la domanda risarcitoria ai sensi dell’art. 30 co. 5 c.p.a.

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