lunedì 19 settembre 2011

riconosciuto il 5% dell'offerta prodotta in sede di gara quale risarcimento del danno ingiusto

Venendo alla quantificazione del danno, poiché la ricorrente non ha fornito la prova che il corretto esito della gara avrebbe condotto senz’altro alla aggiudicazione in suo favore, si deve ritenere che la lesione sia da contenere nella mera perdita di chance, posto che la partecipazione alla gara avrebbe potuto essere di base alla possibilità di restarne aggiudicataria.

Questa perdita di chance va rapportata in termini percentuali all’utile in astratto conseguibile in ipotesi di aggiudicazione della gara ed esecuzione dell’appalto: utile che, secondo un consolidato criterio, va presuntivamente stimato nel 10% dell’importo posto a base d’asta, ribassato dall’offerta presentata (Cons. Stato, V, 8 luglio 2002, n. 3796; IV, 6 luglio 2004, n. 5012). Tale quantificazione va qui poi congruamente ridotta, vuoi perché si tratta di risarcire una mera chance di aggiudicazione, vuoi perché l’interessata non ha dimostrato di essere stata nell’impossibilità di utilizzare, durante il tempo di esecuzione del servizio per cui è giudizio, mezzi e maestranze per l’espletamento di altri e diversi servizi (Cons. Stato, V 24 ottobre 2002, n. 5860; VI, 9 novembre 2006, n. 6607).

Invero, come di recente rilevato da questa Sezione (Cons. Stato, VI, 18 marzo 2011, n. 1681), ad evitare che a seguito del risarcimento il danneggiato possa locupletare un effetto finanziario addirittura migliore rispetto a quello in cui si sarebbe trovato in assenza dell'illecito, dal decimo dell’importo così stimato va detratto quanto percepito dall’impresa grazie allo svolgimento di attività lucrative diverse, nel periodo in cui avrebbe dovuto eseguire l'appalto in contestazione.

Nondimeno, l'onere di provare (l'assenza del)l'aliunde perceptum vel percipiendum grava non sull'Amministrazione, ma sull'impresa: e ciò in ragione della presunzione, secondo l'id quod plerumque accidit, che l'imprenditore normalmente diligente (cfr. art. 1227 Cod. civ.) non rimane inerte in caso di mancata aggiudicazione di un appalto, ma persegue occasioni contrattuali alternative, dalla cui esecuzione trae il relativo utile.

Passaggio tratto dalla decisione numero 5168  del 16 settembre 2011 pronunciata dal Consiglio di Stato



. In definitiva, alla luce delle considerazioni che precedono, il risarcimento dovuto alla ricorrente può essere determinato alla stregua dei seguenti criteri di calcolo: a) attesa la presenza di due soli concorrenti in gara, la chance di aggiudicazione in capo all’appellante può essere determinata nella misura percentuale del 50%; b) l’utile dalla singola impresa (da determinare presuntivamente, come detto, nel 10% del ribasso offerto) va corrispondentemente ridotto della metà rispetto alla misura ordinaria, di tal che all’appellante può essere riconosciuto come danno risarcibile il 5% della sua offerta in ribasso (risultata pari, detta offerta, ad euro 187.700,00); c) questa somma merita di essere ulteriormente ridotta in ragione della mancata prova dell’inesistenza di un aliunde perceptum; d)nondimeno, il Collegio ritiene che non si debba, in pratica, far luogo a tale ulteriore diminuzione di calcolo in considerazione della compensazione tra siffatta sottrazione e quanto spettante alla ricorrente a titolo di danno curriculare, di cui pure essa ha domandato il ristoro.

In effetti, appare al Collegio che anche tale ultimo elemento di danno sussista, in relazione alla maggiore qualificazione professionale che sarebbe derivata alla ricorrente dall’esecuzione dell’appalto in questione, anche ai fini della spendibilità in altre e ulteriori gare pubbliche di un più significativo profilo curriculare (es. Cons. Stato, VI, 9 giugno 2008, n. 2751; VI, 11 gennaio 2010, n. 20; 21 settembre 2010, n. 7004; VI, 18 marzo 2011, n. 1681): elemento che equitativamente può essere stimato, come entità, corrispondente al presumibile uso che l’impresa può aver fatto presso altri cantieri delle maestranze e dei mezzi durante il tempo relativo alla esecuzione (mancata) dell’appalto in questione. Ne consegue che queste due voci risarcitorie (perdita di chance e danno curricolare), pur distintamente considerate si compensano, tanto più che sono entrambe fondate su elementi presuntivi e probabilistici: da un lato l’arricchimento curriculare può derivare soltanto da un’effettiva esecuzione della commessa, il che presuppone la certezza – che qui manca- dell’esito della gara in favore dell’odierna appellante (ciò che invece qui si è ammesso in meri termini probabilistici, nella misura del 50%); da un altro, l’aliud perceptum vel percipiendum è anch’esso fondato su elementi presuntivi (che valgono in casi, come il presente, dove è mancata la dimostrazione di non aver effettivamente lavorato), posto come detto che, per comune esperienza, un imprenditore di media diligenza non usa restare inoperoso ma ricerca commesse alternative per non immobilizzare mezzi e maestranze. Non vi è contraddizione nel riconoscimento delle due (contrapposte) voci risarcitorie perché entrambe si fondano su dati presuntivi tratti dalla comune esperienza, e la presunzione di aliunde perceptum non può ragionevolmente essere spinta fino a darvi per scontato come altrove acquisito anche un simile arricchimento curricolare. Inoltre, nella liquidazione del danno curriculare, il quantum va come detto ridotto perché va tenuto conto che qui non va risarcito il danno da mancata aggiudicazione, ma quello da perdita di chance di aggiudicazione.

D’altra parte, per escludere in radice il danno curriculare occorrerebbe che la stazione appaltante fornisca in positivo la dimostrazione di un aliunde perceptum da parte dell’impresa, con tanto di eguale qualificazione curricolare: in presenza del che, effettivamente, una tal voce di danno non spetterebbe perché si risolverebbe in una iniusta locupletatio.

Per effetto di tutto quanto detto,il danno qui da risarcire è conclusivamente determinato nel 5% dell’offerta prodotta in gara dalla appellante.

In definitiva, dato che il ribasso offerto dalla ricorrente è risultato pari a euro 187.700,00 ne viene che le spetta per risarcimento dei danni per mancato guadagno (lucro cessante), la somma di euro 9.385,00 (cioè il 5% di euro 187.700,00). Questa somma va poi maggiorata per rivalutazione monetaria ed interessi legali dal dì del fatto (i.e., dalla data del provvedimento di esclusione) al soddisfo.

5. Quanto al c.d. danno emergente, vale a dire alle spese sostenute per la partecipazione alla gara, il Collegio considera che non sono di loro risarcibili in favore dell'impresa che lamenti la mancata aggiudicazione dell'appalto (o anche la sola perdita della relativa chance). Invero, la partecipazione alle gare pubbliche di appalto comporta per le imprese costi che, di norma, restano a carico delle imprese medesime sia in caso di aggiudicazione, sia in caso di mancata aggiudicazione. Detti costi di partecipazione, come questa Sezione ha avuto modo di precisare (Cons. Stato, VI, 4 settembre 2002, n. 4435; 9 giugno 2008, n. 2751), si colorano come risarcibile danno emergente solo se l'impresa illegittimamente esclusa lamenti (e chieda di essere tenuta indenne in relazione a ) questo profilo dell’illegittimità procedimentale, perché in tal caso viene in considerazione soltanto la pretesa risarcitoria del contraente che si duole del fatto di essere stato coinvolto in trattative inutili. Tali danni, peraltro, vanno, in via prioritaria e preferenziale, ristorati in forma specifica, mediante rinnovo delle operazioni di gara e solo ove tale rinnovo non sia possibile, vanno ristorati per equivalente. Per converso, nel caso in cui l'impresa ottenga il risarcimento del lucro cessante per mancata aggiudicazione (o per la perdita della possibilità di aggiudicazione) non vi sono i presupposti per il risarcimento per equivalente dei costi di partecipazione alla gara, atteso che mediante il risarcimento non può farsi conseguire all'impresa un beneficio maggiore di quello che deriverebbe dall'aggiudicazione

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