non vi è dubbio che la condotta del Comune abbia causalmente determinato l’evento dannoso.
Il fatto causativo di danno deve essere ricondotto all’avvenuta esecuzione della fornitura in esito a sentenza del giudice di primo grado poi riformata in sede di appello, ciò che costituisce una eventualità connaturata alla normale dialettica giudiziaria
per farsi luogo a risarcimento, il danno deve essere anzitutto causalmente determinato dalla condotta del soggetto agente, ed, in via logicamente successiva, deve essere ad egli attribuibile anche psicologicamente, per ciò utilizzando gli usuali criteri del dolo e della colpa.
La partecipazione alle procedure ad evidenza pubblica comporta per le imprese dei costi che, ordinariamente, restano a loro carico, sia in caso di aggiudicazione, sia in caso di mancata aggiudicazione
il lucro cessante da mancata aggiudicazione può essere risarcito per intero se e in quanto l'impresa possa documentare di non aver potuto utilizzare mezzi e maestranze, lasciati disponibili, per l'espletamento di altri servizi, mentre quando tale dimostrazione non sia stata offerta è da ritenere che l'impresa possa avere ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per lo svolgimento di altri, analoghi servizi, così vedendo in parte ridotta la propria perdita di utilità, con conseguente riduzione in via equitativa del danno risarcibile
passaggio tratto dalla sentenza numero 2196 dell’ 8 settembre pronunciata dal Tar Sicilia, Catania
Nel merito, il ricorso è fondato, nei termini che seguono.
Secondo i normali canoni del nostro ordinamento giuridico interno, per farsi luogo a risarcimento, il danno deve essere anzitutto causalmente determinato dalla condotta del soggetto agente, ed, in via logicamente successiva, deve essere ad egli attribuibile anche psicologicamente, per ciò utilizzando gli usuali criteri del dolo e della colpa.
I fatti di causa non sono oggetto di contestazione fra le parti; risulta così provato che il Comune di Catania abbia fatto eseguire la fornitura alla società Sinterplast, terza graduata nella procedura di gara; risulta altresì provato per tabulas, in ragione del disposto della citata sentenza 421/2006 del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana , che la fornitura avrebbe invece dovuto essere effettuata dall’odierna ricorrente.
In base alla ricostruzione dei fatti, non vi è dubbio che la condotta del Comune abbia causalmente determinato l’evento dannoso.
Il Comune di Catania contesta l’esistenza dei presupposti per far luogo al risarcimento, sotto il profilo della mancanza di colpa da parte dell’Amministrazione, correttamente deducendo di essersi costituito in entrambi i gradi di giudizio al fine di difendere il suo operato e la legittimità della individuazione dell’odierna ricorrente quale aggiudicatario e che, in difetto di sospensione della sentenza di questo Tribunale Amministrativo Regionale da parte del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana , avesse l’obbligo di eseguire quanto disposto dal Giudice di primo grado.
Tuttavia, ciò non è sufficiente a determinare il rigetto del presente ricorso per difetto di responsabilità per dolo o per colpa ascrivibile al Comune di Catania.
Infatti, è pur vero che, in linea generale, in relazione al profilo della attribuibilità psicologica del fatto alla amministrazione, secondo l’orientamento prevalente «...la colpa dell’amministrazione va ricondotta (…) alla violazione dei canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, ovvero a negligenza, omissioni o anche errori interpretativi di norme, ritenuti non scusabili. Siffatta colpa dunque non può essere ritenuta presente in re ipsa (cioè riferire alla mera illegittimità dell’atto), ma va dimostrata in riferimento alla condotta amministrativa…» (Cons. Stato, Sez. VI, 31 marzo 2011, n. 1983); l’illegittimità dell’atto, quindi, «...pur non fornendo ex se elementi inconfutabili nel senso della sussistenza di una condotta colposa da parte dell'Amministrazione, nondimeno fornisce rilevanti elementi nel senso di una presunzione (relativa) di colpa dell'Amministrazione per i danni conseguenti ad un atto illegittimo o, comunque, ad una violazione delle regulae agendi ad essa imposte...» (Cons. Stato, Sez. V, 10 maggio 2010, n. 2750).
Tuttavia, con specifico riferimento alla risarcibilità dei danni da mancata aggiudicazione di un appalto pubblico, occorre tenere conto anche del portato dell’ordinamento comunitario.
In proposito, la Corte di Giustizia CE ha avuto modo di affermare che «…La direttiva del Consiglio 21 dicembre 1989, 89/665/CEE, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa nazionale, la quale subordini il diritto ad ottenere un risarcimento a motivo di una violazione della disciplina sugli appalti pubblici da parte di un’amministrazione aggiudicatrice al carattere colpevole di tale violazione, anche nel caso in cui l’applicazione della normativa in questione sia incentrata su una presunzione di colpevolezza in capo all’amministrazione suddetta…» (CGE, Sez. III, 30 settembre 2010, in causa C-314/09).
Tale interpretazione, collocantesi nel solco di un orientamento già espresso dalla Corte di Giustizia (CGE, sentenze 14 ottobre 2004, causa C-275/03 e 10 gennaio 2008, causa C-70/06), e già ripreso dalla giurisprudenza di questo Tribunale Amministrativo Regionale (TAR Sicilia – Catania, Sez. IV, 14 febbraio 2008, n. 251), si fonda sulla condivisibile opinione (si vedano in proposito i punti 38 e 39 della sentenza) che il rimedio risarcitorio per equivalente possa costituire un’alternativa procedurale alla aggiudicazione dell’appalto compatibile con il principio di effettività «…soltanto a condizione che la possibilità di riconoscere un risarcimento in caso di violazione delle norme sugli appalti pubblici non sia subordinata (…) alla constatazione dell’esistenza di un comportamento colpevole tenuto dall’amministrazione aggiudicatrice…».
Ciò detto per quanto riguarda l’an, occorre ora valutare il quantum del risarcimento.
La società ricorrente chiede liquidarsi:
- euro 5.000,00 a titolo di danno emergente in conseguenza degli esborsi effettuati per la partecipazione alla procedura di gara;
- euro 42.892,00 a titolo di lucro cessante per mancato utile;
- una cifra equitativamente determinata da questo Giudice a titolo di danno “curriculare”.
La prima voce di danno non è risarcibile.
La partecipazione alle procedure ad evidenza pubblica comporta per le imprese dei costi che, ordinariamente, restano a loro carico, sia in caso di aggiudicazione, sia in caso di mancata aggiudicazione; secondo condivisibile orientamento, tali costi si colorano come danno emergente solo qualora il concorrente subisca una illegittima esclusione, perché in tal caso viene in considerazione la sua pretesa a non essere coinvolto in trattative inutili; viceversa, nel caso in cui venga concesso a suo favore il risarcimento di quanto avrebbe tratto dall'aggiudicazione dell’appalto, non vi sono i presupposti per il risarcimento per equivalente dei costi di partecipazione, atteso che mediante il risarcimento non può farsi conseguire all'impresa un beneficio maggiore di quello che deriverebbe dall'aggiudicazione (ex plurimis, Cons. Stato, Sez. IV, 4 luglio 2008, n. 3340; Cons. Stato, Sez. VI, 9 giugno 2008, n. 2751; TAR Sicilia – Catania, Sez. IV, 7 gennaio 2010, n. 3).
Con riferimento al lucro cessante, la ricorrente indica in euro 42.892,00 l’utile di impresa; a supporto della pretesa viene prodotta copia delle giustificazioni fornite in sede di valutazione della anomalia dell’offerta con nota prot. 004/clb del 19 gennaio 2004 (documento allegato al ricorso sub 5), in cui l’utile di impresa viene quantificato in tale somma, nonché copia della relazione sulla offerta, redatta dal Nucleo di valutazione, prot. 854 del 12 febbraio 2004 (documento allegato al ricorso sub 6); chiede quindi determinarsi il risarcimento a tale titolo in tale somma o in quella maggiore o minore che verrà determinata in corso di causa; sul punto, il Comune di Catania deduce che la prova del danno sarebbe «…assolutamente inesistente» (costituzione, pag. 4).
I documenti prodotti, diversamente da quanto eccepito dal Comune di Catania, in difetto di contestazioni specifiche, sono sufficienti a provare quale fosse l’utile atteso dalla ricorrente (euro 42.892,00) così rappresentando il 10, 81% dell’offerta economica (euro 396.692,93).
Tuttavia, tale importo non può essere liquidato per intero; occorre, sul punto, richiamare il condivisibile orientamento secondo cui il lucro cessante da mancata aggiudicazione può essere risarcito per intero se e in quanto l'impresa possa documentare di non aver potuto utilizzare mezzi e maestranze, lasciati disponibili, per l'espletamento di altri servizi, mentre quando tale dimostrazione non sia stata offerta è da ritenere che l'impresa possa avere ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per lo svolgimento di altri, analoghi servizi, così vedendo in parte ridotta la propria perdita di utilità, con conseguente riduzione in via equitativa del danno risarcibile (TAR Sicilia – Catania, Sez. IV, 25 maggio 2011, n. 1279 e 7 gennaio 2010, n. 3; nello stesso senso, Cons. Stato, Sez. VI, 21 maggio 2009, n. 3144; Cons. Stato, Sez. VI, 9 giugno 2008, n. 2751).
Essendo mancata tale prova, appare equo ridurre la percentuale al 8% dell’offerta (TAR Sicilia – Catania, Sez. IV, 7 gennaio 2010, n. 3; TAR Sicilia – Catania, Sez. II, 4 giugno 2010, n. 2069), così quantificandola in euro 31.735,43.
Per quanto riguarda il danno subito per mancato incremento della capacità tecnica, con conseguente riduzione della possibilità di partecipare ad altre procedure ad evidenza pubblica (c.d. danno “curriculare”), la giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di precisare come «… deve pertanto ammettersi che l'impresa ingiustamente privata dell'esecuzione di un appalto possa rivendicare, a titolo di lucro cessante, anche la perdita della specifica possibilità concreta di incrementare il proprio avviamento per la parte relativa al curriculum professionale, da intendersi anche come immagine e prestigio professionale, al di là dell'incremento degli specifici requisiti di qualificazione e di partecipazione alle singole gare…» (ex plurimis, Cons. Stato, Sez. VI, 18 marzo 2011, n. 1681).
Tale danno viene generalmente rapportato, in via equitativa, a valori percentuali compresi fra l'1% e il 5% dell'importo globale dell'appalto da aggiudicare, depurato del ribasso offerto.
Nella specie, anche in conseguenza del comportamento tenuto dal Comune di Catania, il suddetto danno va determinato equitativamente nella misura del 2 % dell’offerta economica come individuata per la precedente voce di danno; conseguentemente, l’Amministrazione deve essere condannata a risarcire, a titolo di “danno curriculare”, la somma di euro 7.933,86 (pari al 2% della offerta economica).
Trattandosi di debiti di valore (risarcimento del danno), sulle somme così liquidate deve riconoscersi la rivalutazione monetaria, secondo gli indici ISTAT, da computarsi dal giorno della stipula del contratto (individuabile come data dell’evento causativo di danno) tra la società Sinterplast, esecutrice dell’appalto, ed il Comune di Catania, e fino alla data di deposito della presente decisione (data quest'ultima che costituisce il momento in cui, per effetto della liquidazione giudiziale, il debito di valore si trasforma in debito di valuta). Sulle somme rivalutate non vanno computati gli interessi legali, spettanti invece dalla data di deposito della presente decisione fino all'effettivo soddisfo (TAR Sicilia - Catania, Sez. IV, 25 maggio 2011, n. 1279 e 7 gennaio 2010, n. 3).
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