in sede di presentazione delle giustificazioni sulle offerte anomale, l’impresa partecipante può operare modulazioni dell’offerta a suo tempo presentata
con la conseguenza che, mentre l’offerta economica in quanto tale resta immodificabile, possono invece essere modificate e integrate le giustificazioni, sino a consentire (ad esempio) compensazioni fra sovrastime e sottostime, purché l’offerta risulti nel suo complesso coerente ed affidabile al momento dell’aggiudicazione
Tuttavia, se ciò è vero, è anche vero che l’impresa la cui offerta è assoggettata a verifica di anomalia è tenuta a fornire dati concreti ed attendibili, idonei a descrivere in modo univoco il contenuto dell’offerta e a confermarne la complessiva attendibilità e sostenibilità sotto il profilo economico-finanziario.
In caso contrario (ossia, laddove si ammettesse la possibilità di giustificare in vari modi fra loro alternativi una determinata struttura di costi), verrebbe meno la ratio stessa dell’istituto della verifica dell’anomalia, il quale consiste nel consentire all’amministrazione di verificare sulla base di elementi concreti ed attendibili la sostenibilità dell’offerta.
pur dovendosi ammettere che in sede di giustificazione dell’offerta anomala l’impresa interessata possa procedere a una sorta di ‘emendatio libelli’ rispetto a quanto inizialmente rappresentato (pur sempre entro il limite dell’offerta inizialmente formulata), non è invece ammissibile che la medesima impresa fornisca in sede di giustificazioni dati il cui tenore non consenta di stabilire in modo chiaro ed univoco quale sia l’offerta in concreto formulata e in relazione alla quale esprimere il giudizio di congruità.
Ebbene, impostati in tal modo i termini concettuali della questione, ne consegue la correttezza dell’operato dell’amministrazione aggiudicatrice.
Essa ha infatti ritenuto che il solo fatto che l’impresa partecipante avesse rappresentato due ipotesi alternative di giustificazione dell’offerta economica, basate su articolazioni orarie (e quindi, su modelli organizzativi) significativamente diversi, costituisse di per sé un elemento sintomatico di inaffidabilità dell’offerta, tale da non consentire al seggio di gara di stabilire quale fosse in concreto l’articolazione organizzativa in ordine alla quale rendere il giudizio di congruità.
Ancora, la sentenza in epigrafe è meritevole di conferma laddove osserva che, anche ad ammettere che fossero in astratto parimenti plausibili due diverse articolazioni organizzative tali da comportare un ammontare di manodopera significativamente diverso (nell’ordine del 15 per cento fra l’una e l’altra ipotesi), ciò che risulta oggettivamente ingiustificabile è che i due modelli in questione si differenziassero fra loro – e in modo nettissimo – anche per quanto riguarda la struttura dei costi orari della manodopera (ossia, un dato che dovrebbe risultare indifferente rispetto all’utilizzo di un modello organizzativo rispetto ad un altro).
E’ evidente, infatti, che l’importo del complessivo costo della manodopera rappresenti una variabile dipendente rispetto al monte ore totale necessario per le lavorazioni, mentre il suo costo orario dovrebbe – in via di principio – essere indifferente rispetto alla scelta dell’uno o dell’altro modello organizzativo.
Conseguentemente, non è dato sapere per quale ragione l’impresa datrice di lavoro sarebbe in condizione di modulare il costo unitario della manodopera (agendo sui c.d. ‘costi indiretti’) solo nel caso in cui l’appalto richieda un numero maggiore di ore, mentre – invece – tale modulazione non avrebbe luogo nel caso in cui l’articolazione organizzativa in concreto prescelta fosse quella tale da richiedere un numero minore di ore.
Tratto dalla decisione numero 2506 del 2 maggio 2012 pronunciata dal Consiglio di Stato
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