La dimostrazione dell’errore scusabile rende priva di fondamento la domanda di risarcimento danni
la presenza di possibili incertezze interpretative in relazione al contenuto prescrittivo delle disposizioni medesime, le condizioni particolarmente gravose e complesse del procedimento, i contrasti giurisprudenziali rispetto alla adeguata applicazione delle norme in questione ed altre circostanze concrete, possano escludere qualsiasi atteggiamento di colpa e configurare una causa esimente della responsabilità
Ai fini del risarcimento di danni a carico della Pubblica Amministrazione occorre verificare se la condotta dell’Amministrazione stessa, in disparte l’estrinseco rappresentato dall’illegittimità dell’atto, sia stata connotata da colpa.
A cura di Sonia LAzzini
Passaggio tratto dalla sentenza numero 4 del 10 gennaio 2012 pronunciata dal Tar Basilicata, Potenza
La richiesta di risarcimento è priva di fondamento e va pertanto respinta.
Ai fini del risarcimento di danni a carico della Pubblica Amministrazione occorre verificare se la condotta dell’Amministrazione stessa, in disparte l’estrinseco rappresentato dall’illegittimità dell’atto, sia stata connotata da colpa.
Sul punto va subito precisato che la esistenza di tale caratterizzazione va apprezzata in senso tendenzialmente oggettivo, e cioè tenuto conto, anche sulla scia delle indicazioni della giurisprudenza comunitaria in tema di violazioni gravi e manifeste e comunque in base alle deduzioni delle parti, dei vizi che hanno determinato l’illegittimità dell’azione, della gravità delle violazioni commesse, dei precedenti giurisprudenziali, dell’univocità o meno del dato normativo, delle condizioni concrete e dell’eventuale apporto dei soggetti destinatari dell’atto. Contestualmente, ove si accerti che l’errore dal quale è scaturita l’illegittimità provvedimentale sia scusabile, la colpa deve ritenersi esclusa.
Come è noto, infatti, nell’accertamento dell’illecito aquiliano il giudice deve esplorare due distinti nessi causali: il primo è quello tra la condotta o l’omissione illecita ed il danno ingiusto inteso quale fatto materiale ( c.d. “ nesso di causalità materiale”); il secondo è quello tra il fatto dannoso nella sua materialità e le conseguenze che ne sono derivate ( c.d. “ nesso di causalità giuridica”).
Mentre quest’ultimo ha la limitata funzione di circoscrivere il danno risarcibile, l’esistenza del nesso di causalità materiale è invece presupposto essenziale perché sorga la responsabilità del danneggiante a titolo di colpa o dolo.
Per quanto riguarda la Pubblica Amministrazione , nel passato la giurisprudenza (prima del riconoscimento della risarcibilità degli interessi legittimi) riteneva la colpa sussistente in re ipsa nel caso di illegittimità processualmente accertata dell’atto amministrativo lesivo.
Secondo tale impostazione il diritto del privato al risarcimento del danno consequenziale ad un atto amministrativo illegittimo, previo annullamento di esso da parte del giudice amministrativo, non postulava la prova della colpa della P.A., di per sé ravvisabile nella violazione di legge con l’emissione e l’esecuzione dell’atto medesimo, senza che tale colpa potesse ritenersi esclusa neppure nell’ipotesi di asserita oscurità della norma violata.
Questo indirizzo, elaborato in riferimento alla lesione di un diritto soggettivo per effetto di attività amministrativa illecita, è stato sottoposto ad una profonda rimeditazione, in quanto ritenuto non più conciliabile con la nuova lettura dell’art. 2043 del cod. civ.
In tal senso la stessa sentenza SS.UU. 22 luglio 1999 n. 500, nell’affermare la risarcibilità ex art. 2043 anche degli interessi legittimi, ha rilevato che l’imputabilità alla P.A. del fatto dannoso non può avvenire sulla base del mero dato obiettivo della illegittimità del provvedimento amministrativo richiedendosi, invece, una più penetrante indagine in ordine alla valutazione della colpa; sicchè tale elemento, riferibile non al funzionario agente, ma alla P.A. come apparato, sarà dunque configurabile qualora l’atto amministrativo sia stato adottato ed eseguito in violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione che costituiscono i limiti esterni alla discrezionalità amministrativa.
In sostanza, come innanzi chiarito, una volta superato il criterio della colpa in re ipsa, ai fini della responsabilità aquiliana occorre verificare se la condotta dell’Amministrazione, in disparte l’elemento estrinseco rappresentato dall’illegittimità dell’atto, sia stata connotata da colpa.
Il principio, poi, della risarcibilità degli interessi legittimi, realizzatosi con l’entrata in vigore dell’art. 7 della legge 21 luglio 2000 n. 205, impone al giudice amministrativo, ogni qualvolta al suo cospetto viene posto il pregiudizio patito dal soggetto titolare di una posizione di interesse e direttamente derivante da un comportamento inadeguato dell’Amministrazione, di risarcire quel danno, sempreché non sussistano gli estremi dell’errore scusabile a giustificare il comportamento dell’Amministrazione ed a far venire meno il requisito della colpa di quest’ultima.
Appare, infatti, corretto- nell’assetto equilibrato dei rapporti tra l’Amministrazione che opera per l’interesse pubblico ed il singolo danneggiato, che cura il proprio interesse particolare- dare rilievo ad uno scrutinio, da parte del giudice amministrativo al quale viene chiesto di attribuire conseguenze concrete al non corretto comportamento mantenuto dall’Amministrazione che non ha rispettato le regole, attraverso il quale possa ulteriormente valutarsi se, nel quadro delle norme rilevanti ai fini dell’adozione della statuizione finale, la presenza di possibili incertezze interpretative in relazione al contenuto prescrittivo delle disposizioni medesime, le condizioni particolarmente gravose e complesse del procedimento, i contrasti giurisprudenziali rispetto alla adeguata applicazione delle norme in questione ed altre circostanze concrete, possano escludere qualsiasi atteggiamento di colpa e configurare una causa esimente della responsabilità.
Definiti, quindi, i tratti salienti dei presupposti per il riconoscimento della responsabilità della Pubblica Amministrazione, sotto il profilo della colpa, ai fini del ristoro del danno patito dal destinatario del comportamento illegittimo mantenuto dall’Amministrazione procedente, vanno in concreto verificate le condizioni in cui si è sviluppato l’agire dell’Amministrazione scolastica nel caso che ci si occupa.
Orbene, non pare possa ragionevolmente porsi in dubbio che la disciplina dei trasferimenti del personale della scuola e dei dirigenti scolastici, nell’arco di tempo che ha interessato la posizione della ricorrente, aspirante ad un trasferimento nella propria sede di residenza, sia stata segnata da fonti normative in continua evoluzione oltre che essere interessata dalle regole della contrattazione decentrata nazionale di settore e dalla epocale svolta segnata dalla privatizzazione dei rapporti di pubblico impiego.
Dalla accurata e puntuale ricostruzione normativa offerta dall’Avvocatura erariale nella memoria di costituzione emerge con palmare evidenza la complessità della materia dei trasferimenti del personale dell’Amministrazione scolastica, che ha determinato, pertanto, un sensibile stato di incertezza e notevoli difficoltà interpretative nell’applicazione delle norme disciplinanti la materia stessa.
Di qui la sicura conclusione che deve escludersi nella specie la responsabilità della Pubblica Amministrazione, in presenza di un quadro di riferimento normativo incerto e complesso che esclude che possa rinvenirsi negligenza od imperizia dell’organo amministrativo nell’assunzione del provvedimento viziato.
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