venerdì 20 maggio 2011

Contratti con la pubblica amministrazione: sono vietati sia il tacito rinnovo che la rinnovazione espressa

Attenzione, per quanto concerne gli appalti pubblici vige quindi il il principio comunitario di divieto di affidamento di contratti pubblici senza gara


E’ sufficiente osservare che la tesi centrale sostenuta dall’appellante, secondo cui l’art. 23 sarebbe applicabile unicamente ai contratti scaduti all’epoca di entrata in vigore della disposizione o in scadenza privi di clausola di rinnovo e non ancora rinnovati, ma non anche ai contratti, provvisti di clausola di rinnovo e tuttavia non ancora scaduti, è manifestamente errata ed è stata smentita dalla giuri-sprudenza (Cons. Stato, sez. V, 8 luglio 2008, n. 3391)

Va ricordato che il comma 1 dell’art. 23 ha soppresso l’ultimo periodo del comma 2 dell’art. 6 della L. n. 537/1993, così precludendo alle amministrazioni la possibilità di accertare la sussistenza di ragioni di convenienza e di pubblico interesse per la rinnovazione espressa dei contratti.


Orbene, il divieto recato dall’art. 23, introdotto allo scopo di adeguare l’ordinamento interno a quello sovranazionale, è a tutti gli effetti una norma inderogabile di diritto pubblico, imperativa dal pun-to di vista civilistico, e in grado di eterointegrare anche i regolamenti negoziali in essere all’epoca della sua entrata in vigore.

La natura imperativa ed inderogabile della disposizione, recante un divieto generalizzato di rinnovazione dei contratti delle pubbliche amministrazioni, implica pertanto la sopravvenuta inefficacia delle previsioni, amministrative o contrattuali, confliggenti con il suddetto vincolante principio: quest’ultimo, difatti, non tollera la sopravvivenza di difformi clausole negoziali, quand’anche inserite in contratti stipu-lati prima dell'entrata in vigore della legge comunitaria 2004.

Viepiù l’art. 23 della L. n. 62/2005 deve essere letto e applicato in modo da escludere, in via generale e incondizionata, la percorribili-tà di opzioni esegetiche di altre disposizioni dell’ordinamento o di dif-ferenti previsioni contrattuali che consentano, in deroga alle procedure ordinarie di affidamento e attraverso un’elusione del ridetto divieto, l’affidamento senza gara degli stessi servizi per ulteriori periodi, così, di fatto, conseguendo per altra via l’obiettivo del rinnovo dei contratti (tra i molti precedenti in tal senso, Cons. Stato, sez. V, 8 luglio 2008, n. 3391; id., sez. IV, 31 maggio 2007, n. 2866): è del tutto evidente, invero, che soluzioni ermeneutiche di questo tipo non assicurerebbero la conformazione del diritto nazionale a quello comunitario.

Infine, per invalidare in radice i motivi di appello, è sufficiente osservare che il principio comunitario di divieto di affidamento di contratti pubblici senza gara, di cui l’art. 23 non rappresenta altro che il diretto precipitato a livello di normazione interna di rango primario, previgeva e, in virtù della primazia comunitaria, era immanente nell’ordinamento nazionale già all’epoca di stipulazione del contratto-concessione del quale si controverte: l’invocazione dell’art. 11 prel. c.c. rispetto a un formante di rango costituzionale è quindi un argo-mento privo di qualunque pregio.

tratto dalla decisione numero 364 del 20 maggio 2011 pronunciata dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia-na

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