venerdì 30 novembre 2012

soggetta canoni proporzionalità e ragionevolezza, facoltà limitare partecipazione ati sovrabbondanti

Come si vede, non è in discussione l’erroneità in sé, o meno, della scelta di non ammettere ATI “sovarabbondanti” alla gara in questione, né tampoco se una stazione appaltante abbia, da sola, titolo legittimo ad assumere regole più o meno pro-competitive nell’ambito d’una singola procedura ad evidenza pubblica, ma come valore assoluto e senza alcun collegamento, logico e/o giuridico, con l’utilità sperata dall’esecuzione dell’appalto.

Invero, si può anche ritenere che una scelta siffatta, ossia la limitazione a priori alle imprese della facoltà d’un tipo di ATI per ragioni antitrust, non risponda di per sé sola ad alcuna reale esigenza sottesa all’evidenza pubblica, soprattutto se meramente astratta, non proporzionata al concreto oggetto dell’appalto e non suffragata da gravi indizi di intese di cartello tra le imprese. È, questo, il caso indicato da Cons. St., VI, 19 giugno 2009 n. 4145, richiamato da Cons. St., VI, 18 gennaio 2011 n. 351 (ord.za) per provocare la pronuncia di Ad. plen. n. 4/2011, fermo, al riguardo, restando anche l’ormai risalente parere dell’AGCM del 2003 sulle limitazioni delle ATI “sovrabbondanti” alle gare ad evidenza pubblica.
Pare tuttavia al Collegio che, a tutto concedere, la facoltà delle stazioni appaltanti di non ammettere queste ultime alle gare, non essendo basata su norme imperative (arg. ex CGA, 4 luglio 2011 n. 474) e non potendo esser statuita in via pretoria (cfr. Cons. St., VI, 20 febbraio 2008 n. 588), resta allora soggetta agli ordinari canoni di proporzionalità e di ragionevolezza, sia in sé, sia con riguardo ed all’oggetto dell’appalto ed alla predetta utilità sperata.

Sicché, assodato che la tutela della concorrenza nell’evidenza pubblica va governata all’interno della gara e per il conseguimento del risultato economico che il soggetto aggiudicatore si prefigge, non si può ritenere collusiva un’ATI “sovrabbondante” per il sol fatto che si presenti ad una gara pubblica. L’accordo associativo per tali ATI, come ogni rapporto tra privati, in realtà è neutro e, come tale, soggiace alle ordinarie regole sulla liceità e la meritevolezza della causa e non può dirsi di per sé contrario al confronto concorrenziale proprio dell’evidenza pubblica. Insomma, elidere senz’altro la possibilità di ATI “sovrabbondante”, in assenza di motivate ragioni direttamente incidenti sulle esigenze concorrenziali della gara, soprattutto in gare, come quella per cui è causa, complesse ed articolate, potrebbe anche comprimere in modo eccessivo facoltà dell’imprenditore per ragioni non basate sull’art. 41 Cost. ed anche non consentire quelle virtuose aggregazioni commisurate a tali esigenze reali.
3. – Ma, se tutto questo può giustificare una censura sulla scelta operata dalla lex specialis, da esso non si può direttamente inferire null’altro che l’immediata impugnabilità della clausola, non certo la prova sulla differenziazione dell’interesse del soggetto che l’impugna.
Non basta predicare l’illegittimità, ma occorre dar contezza che l’interesse azionato sia non già di mero fatto o, il che è in pratica lo stesso, basato su una mera ipotesi di possibile ed eventuale ATI “sovrabbondante” con terzi. Occorre che l’interesse sia qualificato dalla dimostrazione d’una seria chance di offerta spendibile in quella gara coeteris paribus e senza dover attendere l’eventuale rinnovazione di essa. Altrimenti, tal interesse non è diverso da quello di qualsiasi altro operatore del settore che non ha inteso partecipare alla gara stessa per i più diversi motivi e che, pur tuttavia, spera nella caducazione dell'intera selezione.
4. – Tutto ciò rende irrilevante la richiesta di rimessione di siffatta questione alla Corte di giustizia UE o di deferimento all’Adunanza plenaria, giacché, come s’è visto, lo snodo essenziale della presente lite è l’ammissibilità in sé non già delle ATI “sovrabbondanti”, bensì dell’interesse azionato in primo grado


a cura di Sonia Lazzini

passaggio tratto dalla decisione    numero 3402 dell’ 11 giugno  2012 pronunciata dal Consiglio di Stato

gravi indizi di intese di cartello giustificano il divieto di partecipare in Ati di imprese autonome

la legittimità della scelta di limitare a priori la facoltà delle imprese di associarsi in ATI per ragioni antitrust, non può che essere valutata in concreto, con riferimento alla diverse fattispecie,

dovendosi ritenere che la facoltà delle stazioni appaltanti di non ammettere imprese sovrabbondanti alle gare resta soggetta agli ordinari canoni di proporzionalità e di ragionevolezza, sia con riguardo all’oggetto dell’appalto, sia con riferimento alla utilità pubblica sperata,

con la conseguenza che tale scelta può ritenersi illegittima solo se non risponde ad alcuna reale esigenza sottesa all’evidenza pubblica, se meramente astratta, non proporzionata al concreto oggetto dell’appalto e non suffragata da gravi indizi di intese di cartello tra le imprese (Consiglio di Stato, Sezione III, n. 3402 dell’11 giugno 2012).


a cura di Sonia Lazzini

passaggio tratto dalla decisione    numero 5820 del  19 novembre  2012 pronunciata dal Consiglio di Stato

l'ati non andava esclusa nè per mancanza di firme nè per indicazioni parti da eseguire

il rappresentante legale della società Ricorrente 4  ha sottoscritto l’offerta economica in ogni sua pagina (compreso l’ultima in basso a destra) ed è del tutto irrilevante che la sottoscrizione non sia stata riproposta (nell’ultima pagina) anche vicino al timbro della società posto a margine dell’offerta.

Né ha alcun rilievo la circostanza che i rappresentanti legali delle altre associate, nell’ultima pagina, abbiano apposto due volte la loro firma mentre Ricorrente 4 ha lasciato uno dei due spazi per la firma in bianco risultando comunque sufficiente l’unica sottoscrizione posta in basso a destra nell’ultima pagina

L’indicazione delle parti del servizio che i singoli componenti del R.T.I. avrebbero eseguito nel caso di aggiudicazione non doveva essere, infatti, contenuta (anche) nell’offerta economica.

Risulta peraltro chiaramente dagli atti che i singoli componenti del R.T.I RICORRENTE hanno indicato nell’offerta tecnica (pagine 11 e 12) e nella documentazione amministrativa presentata le parti del servizio che, in caso di aggiudicazione, avrebbero eseguito


a cura di Sonia Lazzini

passaggio tratto dalla decisione    numero 5820 del  14 novembre  2012 pronunciata dal Consiglio di Stato

onere dell'impresa di una prova rigorosa della percentuale di utile effettivo

Confermandosi dunque fondata la pretesa risarcitoria dell’appellante, si può addivenire alla precisa quantificazione del risarcimento accordabile all’avente diritto.

Il risarcimento deve essere parametrato, sotto il profilo del lucro cessante, alla previsione di utile dichiarata dalla stessa RICORRENTE in sede di offerta, che assommava al 4 % del valore del contratto (in tal senso si veda la memoria della stessa appellante, pag. 5, e quella della Stazione appaltante a pag. 46): dato, questo, che non può che prevalere su quello, solo presuntivo ed astratto, della misura forfetaria del 10 % sulla quale l’appellante ha invece calibrato la propria domanda.
Il criterio di liquidazione forfetario del lucro cessante nella misura del 10 % , che si ricollega all'art. 345, l. n. 2248 del 1865 All. F., dovrebbe del resto essere desunto da disposizioni in tema di lavori pubblici che riguardano, tuttavia, altri istituti, come l'indennizzo dell'appaltatore nel caso di recesso dell'Amministrazione committente, o la determinazione del prezzo a base d'asta.
Il relativo riferimento, inoltre, conduce di solito all’abnorme risultato che il risarcimento dei danni sarebbe, per l'imprenditore, più favorevole dell'impiego del capitale. Con il che si creerebbe la distorsione per cui il soggetto ricorrente non avrebbe più interesse a provare in modo puntuale il danno subìto, poiché presumibilmente per tal via otterrebbe meno di quanto la liquidazione forfetaria gli consentirebbe (CDS, V, n. 2967\2008; VI, 21 maggio 2009 n. 3144).

La tecnica di quantificazione del danno in discorso, pertanto, pur se in una prima fase è stata indubbiamente impiegata nella pratica, dalla più recente giurisprudenza di questo Consiglio è stata messa profondamente in discussione (V, n. 2967 del 2008; VI, n. 3144 del 2009; n. 8646 del 2010), affermandosi in sua vece l’onere dell'impresa di una prova rigorosa della percentuale di utile effettivo che essa avrebbe conseguito qualora fosse risultata aggiudicataria dell'appalto (Cons. Stato, V, 6 aprile 2009, n. 2143; 17 ottobre 2008, n. 5098; 5 aprile 2005, n. 1563; VI, 4 aprile 2003, n. 478).
A conforto di tale ultimo indirizzo è recentemente giunta, infine, l’espressa previsione contenuta nell'art. 124 del Codice del processo amministrativo, a tenore del quale "se il giudice non dichiara l'inefficacia del contratto dispone il risarcimento del danno per equivalente subìto", a condizione, tuttavia, che lo stesso sia stato "provato".
Per le ragioni esposte, la Sezione nel caso di specie non può che considerare decisiva la previsione di utile indicata dalla stessa RICORRENTE, in sede di offerta di gara, nella misura del 4 % , nessuna prova essendo stata fornita dall’avente diritto in merito ad un proprio utile eccedente la sua stessa indicazione.
Al riconoscimento indicato deve aggiungersi l’ulteriore voce costituita dal danno curricolare.
L’esistenza di tale componente di danno può essere pragmaticamente ritenuta in re ipsa, in una certa contenuta misura, in quanto insita nel fatto stesso dell’impossibilità di utilizzare le referenze derivanti dall’esecuzione dell’appalto in controversia nell’ambito di futuri procedimenti simili cui la stessa ricorrente potrebbe partecipare. Il soggetto economico non può dirsi gravato, a questo proposito, da alcun particolare onere probatorio, che condizionerebbe soltanto l’accesso per la stessa voce ad un risarcimento più elevato.
Sono ormai diverse, del resto, le recenti decisioni di questo Consiglio secondo le quali non sarebbe indispensabile uno specifico supporto probatorio per l’ottenimento di ogni forma di riconoscimento a titolo di danno curricolare (cfr. le decisioni della Sezione n. 3966 del 6 luglio 2012, n. 661 del 7 febbraio 2012 e n. 2546 del 3 maggio 2012, nonché la n. 8253 del 27 novembre 2010 della Sez. IV).
Nella fattispecie può pertanto equitativamente riconoscersi un pregiudizio a titolo di danno curricolare commisurato al 2 % del valore dell’appalto.
3e Alla ricorrente non può invece attribuirsi alcuna forma di rimborso delle spese di partecipazione alla gara.
La giurisprudenza sullo specifico tema ha difatti recentemente osservato quanto segue. “Nel riconoscimento del danno da mancata aggiudicazione, se viene attribuito il ristoro del danno da mancato utile, viene escluso il danno relativo alle spese subite, in quanto nelle pubbliche gare di appalto all’aggiudicatario non viene riconosciuto il rimborso delle spese sostenute per la gara, implicitamente assorbite dal compenso per l’esecuzione dell’appalto. E, invero, nella somma liquidata a titolo di ristoro dell’utile di impresa perduto, è già ricompresa la remunerazione del capitale impiegato per la partecipazione alla gara; si evitano in tal modo ingiustificate locupletazioni derivanti dalla medesima partita di danno (Cons. giust. sic., 22 giugno 2006 n. 315; Cons. St., sez. V, 13 giugno 2008 n. 2967). Sicché, se in luogo dell’aggiudicazione si consegue il danno da mancato utile, parallelamente non spetta il danno per le spese di gara” (VI, 11 gennaio 2010, n. 20; nello stesso senso v. anche, ad es., la n. 5168 del 16 settembre 2011, nonché la n. 3966 del 6 luglio 2012 della Sezione).
Tantomeno la RICORRENTE potrebbe ottenere a titolo risarcitorio il richiesto rimborso delle spese legali, per il recupero delle quali vale il ben diverso e specifico regime dettato dal Codice di rito all’art. 26.
In conclusione, si precisa che le percentuali sopra indicate (4 % e 2%) dovranno essere riferite al valore dell’appalto così come rideterminato alla luce dell’offerta di gara dell’appellante, rammentandosi infine che l’ammontare complessivo scaturente dall’applicazione delle due percentuali andrà dimezzato per il motivo visto al paragrafo 2a.


a cura di Sonia Lazzini

passaggio tratto dalla decisione    numero 5846 del  19 novembre  2012 pronunciata dal Consiglio di Stato

insuperabile dubbiezza verifica anomalia si proietta risarcimento danno, ridotto metà

Poiché l’opera è stata già realizzata (come comprova il certificato di ultimazione dei lavori in atti), la domanda non può essere valutata che nella sua variante per equivalente monetario.
Ciò posto, la Sezione non ritiene di poter utilmente affidare all’Amministrazione un riesame (a questo punto, solo) virtuale dell’anomalia dell’offerta della RICORRENTE, dal momento che la pendenza della domanda risarcitoria spiegata nei suoi confronti pregiudicherebbe in radice l’imparzialità di un suo nuovo pronunciamento sul tema.
Né il Collegio potrebbe sostituirsi all’Amministrazione nella relativa valutazione, stanti i principi sopra esposti al paragr. 1d.
L’insuperabile dubbiezza dell’esito del subprocedimento di verifica dell’anomalia si proietta, allora, inevitabilmente sull’entità del risarcimento ottenibile dall’avente diritto. Il risarcimento dovrà di riflesso essere ridotto nella misura che si può determinare equitativamente, sin d’ora, nel 50 % della somma che l’impresa avrebbe potuto ottenere qualora si fosse potuto invece accertare il suo pieno diritto all’aggiudicazione.

Circa le condizioni di accesso al risarcimento è appena il caso di ricordare, infatti, che l'illegittimità dell'atto amministrativo già costituisce un indice presuntivo della colpa della P.A., sulla quale incombe l'onere di provare la sussistenza di un proprio ipotetico errore scusabile (C.d.S., V, 31 ottobre 2008, n. 5453).
La giurisprudenza ha sottolineato, più ampiamente (cfr. ad es. C.d.S., VI, 9 marzo 2007 n. 1114 e 9 giugno 2008 n. 2751), che al privato danneggiato da un provvedimento illegittimo non è richiesto un particolare impegno probatorio per dimostrare la colpa dell’Amministrazione. Questi può limitarsi ad allegare l'illegittimità dell'atto, potendosi ben fare applicazione, al fine della prova dell'elemento soggettivo, delle regole di comune esperienza e della presunzione semplice di cui all'art. 2727 del codice civile. E spetta a quel punto all'Amministrazione dimostrare, se del caso, di essere incorsa in un errore scusabile (cfr., tra le tante, C.d.S., IV, 12 febbraio 2010, n. 785; V, 20 luglio 2009, n. 4527).
Nel caso di specie, però, la parte pubblica onerata non ha addotto alcuna significativa incertezza interpretativa che potesse giustificare il suo operato.
D’altra parte, la Corte di Giustizia dell’U.E. ha recentemente chiarito che la direttiva 89/665 deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa nazionale la quale subordini il diritto ad ottenere un risarcimento a motivo di una violazione della disciplina sugli appalti pubblici, da parte di un'Amministrazione aggiudicatrice, al carattere colpevole di tale violazione. E questo anche nel caso in cui l'applicazione della normativa in questione sia incentrata su una presunzione di colpevolezza in capo all'Amministrazione suddetta, nonché sull'impossibilità per quest'ultima di far valere la mancanza di proprie capacità individuali e, dunque, un ipotetico difetto di imputabilità soggettiva della violazione lamentata (Corte giustizia CE, sez. III, 30 settembre 2010, proc. C-314/09).


a cura di Sonia Lazzini

passaggio tratto dalla decisione    numero 5846 del  19 novembre  2012 pronunciata dal Consiglio di Stato

giovedì 29 novembre 2012

offerte anomale_obbligo tre stadi_giustificazioni, precisazioni e convocazione

Con l’innovazione del 2009 nell’articolo 88 è stato però inserito un nuovo, incisivo comma 1 bis, alla stregua del quale la Stazione appaltante, “ove non … ritenga sufficienti” le giustificazioni prodotte “ad escludere l'incongruità dell'offerta, richiede per iscritto all'offerente le precisazioni ritenute pertinenti.”

Il confronto tra i due testi rende sufficientemente chiaro, dunque, il ripudio della precedente configurazione della fase di cui si discute in termini puramente facoltativi (“può chiedere”), e la riqualificazione del passaggio intermedio tra giustificazioni e convocazione in termini di vero e proprio dovere giuridico (beninteso, qualora le perplessità sulla sostenibilità economica dell’offerta non siano state già subito dissipate dalle giustificazioni).
L’effettività dell’innovazione è scolpita anche nel nuovo testo dello stesso comma 3 dell’art. 88. Questo stabiliva, prima, che la Stazione appaltante dovesse esaminare essenzialmente “gli elementi costitutivi dell’offerta tenendo conto delle giustificazioni fornite”, salvo successiva -ma solo facoltativa- richiesta di chiarimenti; la riforma del 2009, di contro, ha riposizionato il baricentro della valutazione di congruità, individuandolo nell’esame de “gli elementi costitutivi dell'offerta tenendo conto delle precisazioni fornite”.
1d La ratio dell’intervento riformatore del 2009 è stata inequivocabilmente quella di accrescere il tasso garantistico della procedura in esame attraverso un più pieno contraddittorio, con l’imposizione del passaggio intermedio in discussione.
Il focalizzarsi dell’attenzione legislativa sul profilo procedurale della delicata materia della verifica di congruità delle offerte ha una sua precisa ragione d’essere.

L'esame delle giustificazioni presentate dal soggetto richiesto di dimostrare la non anomalia della propria offerta chiama difatti in causa la discrezionalità tecnica dell'Amministrazione, per cui il Giudice della legittimità può intervenire soltanto in caso di macroscopiche illogicità, vale a dire di errori di valutazione evidenti e gravi, oppure di valutazioni abnormi o affette da errori di fatto (C.d.S., V, 18 agosto 2010, n. 5848; 23 novembre 2010, n. 8148; 22 febbraio 2011, n. 1090). La giurisprudenza è infatti saldamente orientata nel senso che, nel caso di ricorso proposto avverso il giudizio di anomalia dell'offerta economica presentata in una pubblica gara, il Giudice amministrativo possa sindacare le valutazioni compiute dall’Amministrazione sotto il profilo della loro logicità e ragionevolezza e della congruità dell'istruttoria, ma non possa, invece, operare autonomamente la verifica della congruità dell'offerta, sovrapponendo così la propria idea tecnica al giudizio -non erroneo né illogico- formulato dall'organo amministrativo cui la legge attribuisce la tutela dell'interesse pubblico nell'apprezzamento del caso concreto, atteso che diversamente il Giudice invaderebbe una sfera propria della P.A. (C.d.S., IV, 27 giugno 2011, n. 3862; V, 28 ottobre 2010, n. 7631).
1e A seguito della riforma legislativa illustrata, l’andamento del subprocedimento di verifica della congruità dovrebbe pertanto svilupparsi -almeno tendenzialmente- secondo un iter di progressivo approfondimento.
Il passaggio intermedio reso obbligatorio ha la duplice funzione pratica di attribuire all’impresa un’ulteriore occasione di meditata interlocuzione scritta, e di permetterle di preparare in tutta consapevolezza la decisiva fase conclusiva della convocazione.
Più articolatamente : la richiesta di precisazioni da parte dell’Amministrazione vale a far conseguire nitidezza di contorni alle perplessità da essa nutrite sulla sostenibilità economica dell’offerta; la resa delle precisazioni, a sua volta, attribuisce all’impresa una possibilità in più di vedere favorevolmente definita la propria posizione, potendo essa inoltre rimediare anche alle mancanze e ai possibili difetti d’impostazione delle giustificazioni già presentate; questo passaggio intermedio, infine, permette anche la migliore preparazione dell’eventuale fase orale finale.
L’offerente viene così posto nelle migliori condizioni per approntare e svolgere i propri argomenti difensivi, avuto riguardo agli esatti specifici profili della propria offerta rivelatisi effettivamente critici.


a cura di Sonia Lazzini

passaggio tratto dalla decisione    numero 5846 del  19 novembre  2012 pronunciata dal Consiglio di Stato

offerta tecnica_seduta pubblica per verifica presenza documenti_seduta riservata per valutazione

i principi di trasparenza e pubblicità delle operazioni delle gara ad evidenza pubblica, la cui base normativa risiede nell’art. 97 Cost. e nella normativa comunitaria sui pubblici incanti, impongono alle Stazione appaltanti l’apertura delle buste contenenti l’offerta tecnica in seduta pubblica

l’apertura pubblica dell’offerta tecnica non può andare oltre il mero riscontro degli atti prodotti dall’impresa concorrente, con reclusione della possibilità, per tutti e ciascun altro concorrente, di prender visione del relativo contenuto.
Il Collegio, d’altronde confermando l’indirizzo già seguito dalla Sezione su analoghi argomenti (cfr. Cons. St., III, 4 novembre 2011 n. 5866; id., 20 giugno 2012 n. 3604), non reputa che sussistano ragioni per disattendere detta pronuncia e, di conseguenza, per riformare sul punto quanto deciso dal TAR. Invero, sussiste un obbligo di pubblicità, per alcune operazioni nell’ambito della procedura di gara, in ordine all'apertura dei plichi contenenti le offerte (operazione preliminare), cosa, questa, diversa dalla valutazione del contenuto di queste ultime (operazione di giudizio tecnico), per lo svolgimento della quale non v’è necessità di presenza dei concorrenti. Dal canto suo, il DPR 5 ottobre 2010 n. 207, in continuità con il DPR 554/1999, mira a garantire la pubblicità per tutte le operazioni di gara, compresa la comunicazione dell'eventuale anomalia dell'offerta (art. 121), e prevede la seduta riservata per le valutazioni di natura tecnica. Sicché la funzione di garanzia, cui è preordinata detta pubblicità, sembra essere non solo immanente nell’ordinamento, ma immediatamente leggibile pure nel diritto positivo, con conseguente sua naturale inserzione nel regolamento di ciascuna gara, aldilà d‘ogni espressa, o no, previsione al riguardo.

Scolora così ogni questione circa l’efficacia, retroattiva o meno, della novella recata all’art. 120 del Dlg 163/2006 dall’art. 12 del DL 7 maggio 2012 n. 52 (convertito, con modificazioni, dalla l. 6 luglio 2012 n. 94).
Tanto essa, quanto la norma transitoria sul trattamento delle offerte tecniche i cui plichi non siano stati aperti alla data del 9 maggio 2012 non hanno un valore costitutivo ed innovativo vero e proprio, ma si limitano a dichiarare in un unico dato ciò che l’ordinamento già prevede in testi sparsi, così trasformano detti principi in diritto codificato. Se è vero che le procedure concorsuali, rette da una lex specialis formatasi sotto l’imperio d’una diversa disciplina sostanziale, restano insensibili al jus superveniens, quand’anche esso s’atteggi a norma interpretativa, nel caso in esame non si verifica alcuna sopravvenienza, come s’evince dall’Adunanza plenaria n. 13/2011 e come suggerisce la serena lettura dell’art. 12 del DL 52/2012 nel suo complesso e non della sola norma transitoria colà recata.
Si condivide altresì, con il TAR, l’impossibilità di leggere nell’Adunanza plenaria n. 13/2011 un intervento di innovazione normativa (c.d. overruling), tale da esser mitigato mercè la salvezza degli atti e dei comportamenti tenuti in conformità con l’orientamento anteriore. Tale pronuncia non sembra possedere quell’imprevedibilità del mutamento d‘indirizzo, che costituisce il presupposto dell’overruling, appunto perché sia l’Adunanza plenaria, sia il Giudice di prime cure danno contezza del principio, poi fatto proprio dal DL 52/2012, per cui il trattamento dei plichi contenenti l’offerta tecnica debba essere identico, fatta salva la valutazione di merito del relativo contenuto, a quello degli altri plichi.
Corretto s’appalesa infine quanto il TAR afferma sull’inapplicabilità dell’art. 21-octies, c. 2 della l. 7 agosto 1990 n. 241 all’omissione di seduta pubblica per l’apertura delle buste contenenti l’offerta tecnica, per la ragione che essa si risolve in un vizio di forma sostanziale, connesso sì ad una potestà vincolata, ma non anche e di per sé solo ad un risultato predefinibile e certo. La valutazione dell’offerta tecnica, per quanto conformata dal capitolato tecnico e dal disciplinare di gara, implica pur sempre un apprezzamento tecnico basato sullo stato della relativa arte e su dati e valori talvolta opinabili, onde il giudizio circa la “inevitabilità” o la “ineluttabilità” cui fa riferimento l’art. 21-octies non ha alcuna automaticità né logica, né tecnica nella specie


a cura di Sonia Lazzini

passaggio tratto dalla decisione    numero 5864 del 19 novembre 2012 pronunciata dal Consiglio di Stato

nessuna disposizione pone divieto assoluto elementi economici nell’offerta tecnica

lo stesso codice appalti, nell’indicare gli elementi che compongono l’offerta tecnica, indica voci che presentano elementi di tipo quantitativo- economico, quali il contenimento dei consumi energetici, il costo di utilizzazione e manutenzione, la redditività (art. 83, comma 1, lett. e), f), g), d.lgs. n. 163/2006)
.
A sua volta il regolamento attuativo del codice appalti prescrive che le offerte tecniche siano esaminate in seduta segreta e che solo successivamente, in seduta pubblica, siano esaminate le offerte economiche (art. 120 d.P.R. n. 207/2010).
Questo al precipuo fine di evitare che in sede di valutazione delle offerte tecniche la commissione possa essere influenzata da elementi di natura economica.
Come si vede, nessuna disposizione né di legge né di regolamento pone un divieto assoluto di elementi di tipo economico nell’offerta tecnica.
Peraltro copiosa giurisprudenza ritiene vietata la commistione tra offerta tecnica ed economica, al fine di prevenire il suddetto pericolo che gli elementi economici influiscano sulla previa valutazione dell’offerta tecnica, in violazione del principio sotteso alle norme vigenti, di segretezza dell’offerta economica fino al completamento della valutazione delle offerte tecniche.

Ma anche la giurisprudenza (invocata dall’appellante) non si spinge ad affermare il divieto assoluto di indicare elementi economici all’interno dell’offerta tecnica, nel modo rigoroso preteso dall’appellante.
10.4. La giurisprudenza si è occupata di casi in cui in modo palese e vistoso risultava violato il principio di segretezza dell’offerta economica fino al completamento della fase di valutazione delle offerte tecniche:
- in alcuni casi l’offerta tecnica era corredata del computo estimativo contenente l’intera offerta economica (Cons. St., sez. V, 9 giugno 2009 n. 2575) ovvero una percentuale di essa pari a circa il 10% (Cons. St., sez. V, 8 settembre 2010 n. 6509);
- in alcuni casi l’offerta economica non era stata inserita in apposita busta sigillata (Cons. St., sez. V, 23 gennaio 2007 n. 196; Cons. St., sez. VI, 17 luglio 2001 n. 3962);
- in un caso l’offerta economica era stata erroneamente inserita nella busta contenente la documentazione amministrativa, che è quella che viene aperta per prima, prima ancora della busta contenente l’offerta tecnica, sicché palesemente l’offerta economica era divenuta nota prima di quella tecnica (Cons. St., sez. VI, 12 dicembre 2002 n. 6795);
- in alcuni la commissione aveva aperto la busta con l’offerta economica prima di quella con l’offerta tecnica (Cons. St., sez. VI, 10 luglio 2002 n. 3848; Id., sez. V, 31 dicembre 1998 n. 1996; Id., sez. VI, 3 giugno 1997 n. 839);
- in alcuni era stata la lex specialis a prevedere, nell’ambito dell’offerta tecnica, elementi economici (Cons. St., sez. V, 25 maggio 2009 n. 3217), talora incidenti in percentuale rilevante, pari o superiore al 10%, rispetto alla complessiva offerta economica (Cons. St., sez. V, 28 settembre 2012 n. 5121).
10.5. Alla luce delle norme vigenti, come interpretate dalla giurisprudenza, e considerato il difetto espresso di una norma primaria o regolamentare che vieti in modo assoluto l’indicazione di elementi economici nell’offerta tecnica, si deve ritenere che dal quadro normativo si desumano i seguenti principi:
a) la valutazione delle offerte tecniche deve precedere la valutazione delle offerte economiche;
b) le offerte economiche devono essere contenute in buste separate dagli altri elementi (documentazione e offerte tecniche) e debitamente sigillate:
c) la commissione non può aprire le buste delle offerte economiche prima di aver completato la valutazione delle offerte tecniche;
d) nell’offerta tecnica non deve essere inclusa né l’intera offerta economica, né elementi consistenti dell’offerta economica o elementi che comunque consentano di ricostruirla:
e) nell’offerta tecnica possono essere inclusi singoli elementi economici che siano resi necessari dagli elementi qualitativi da fornire, purché siano elementi economici che non fanno parte dell’offerta economica, quali i prezzi a base di gara, i prezzi di listini ufficiali, i costi o prezzi di mercato, ovvero siano elementi isolati e del tutto marginali dell’offerta economica che non consentano in alcun modo di ricostruire la complessiva offerta economica


a cura di Sonia Lazzini

passaggio tratto dalla decisione    numero 5928 del 22 novembre 2012 pronunciata dal Consiglio di Stato

onere d’impugnazione avverso le clausole immediatamente lesive, anche senza partecipazione

Poiché la legittimazione al ricorso va collegata necessariamente ad una situazione differenziata, in modo certo, per effetto della partecipazione alla gara, solo tre sono le varianti a tal regola, ciascuna delle quali connotata da valori giuridici di pari rango a quelli testé affermati dalla giurisprudenza. Tra queste, ai presenti fini, spicca il caso della legittimazione dell’operatore economico che si rivolge nei confronti d’una o più clausole escludenti.

In tal caso, ossia ove la clausola è di tenore tale da precludere la partecipazione alla gara, ben si comprende come adempimento inutile, se non mero formalismo, s’appalesi la presentazione della domanda di partecipazione quale prova di legittimazione dell’operatore, con conseguente appesantimento della tutela di questi, obbligato ad aspettare l'esclusione dalla gara, onde impugnare pure tal provvedimento, in realtà meramente confermativo della lesione prodottasi con la clausola stessa (arg. ex Cons. St., V, 5 ottobre 2011 n. 5454). Non sfugge d’altronde al Collegio come non sia conforme alla piena esplicazione del diritto alla difesa e del diritto di libertà d’iniziativa economica privata, nonché del principio di libera concorrenza, subordinare la legittimazione dell’operatore, leso sostanzialmente in via immediata da una clausola che gli preclude la partecipazione alla gara, la presentazione d’una domanda che ne comporterebbe l' esclusione (cfr. Cons. St., V, 20 aprile 2012 n. 2339). Né il Collegio è alieno dal considerare, anzitutto, che onerano l’interessato alla loro immediata impugnazione soltanto le clausole che prescrivano in modo inequivoco requisiti d’ammissione o di partecipazione alla gara, con riguardo sia a requisiti soggettivi, sia a situazioni di fatto, la carenza dei quali determina subito l'effetto escludente (cfr. Cons. St., VI, 8 luglio 2010 n. 4437; id., V, 19 settembre 2011 n. 5323). Per altro verso, la lesione de qua si verifica non solo nel caso, per vero alquanto raro, di clausola discriminatoria, ma pure in tutti quelli in cui la clausola, pur non apparendo escludente o quand’anche formulata in modo positivo, in realtà dissimuli una fattispecie di (indebita, irrazionale, sproporzionata, ecc.) restrizione all’accesso alla gara e, quindi, alla conseguente tutela.
Avverte nondimeno la giurisprudenza (arg. ex Cons. St., VI, 18 settembre 2009 n. 5626) che, fermo l’onere d’impugnazione avverso le clausole immediatamente lesive, quest’ultima è pur sempre subordinata ad un'accurata analisi della singola fattispecie che metta in luce, tra gli altri aspetti, pure il contenuto della clausola sospetta d’illegittimità, il tipo di vizio dedotto dalla parte ricorrente e l' interesse manifestato dall'operatore.
Ebbene, è vero che l’accesso alla tutela (recte, alle procedure di ricorso in tema di appalti pubblici), come ben evincesi dall’art. 1, § 3) della dir. n. 66/2007/CE, è consentito anche solo a fronte del rischio della lesione, ma ciò serve, e di questo la giurisprudenza ed il Collegio sono consapevoli, essenzialmente ad ammettere l’immediata impugnazione del bando nei casi discriminatori.
Tra questi ultimi rientrano pure le situazioni in cui la clausola sia, come nel caso in esame, escludente non in sé, né per categorie predefinite di soggetti, ma secondo la prospettazione di taluni di questi soggetti che, pur godendo in linea di principio dei requisiti per l’ammissione alla gara, non vi possano accedere in concreto per l’effetto restrittivo che la clausola determina verso alcune scelte economiche che essi vorrebbero introdurre nella procedura di gara. Ma se la clausola è asserita discriminatoria o restrittiva secondo l’assunto dell’operatore o, il che è lo stesso, con riguardo ad un aspetto peculiare della stessa, non vien meno per ciò solo la delibazione del concreto interesse differenziato, ossia sul bisogno giuridico di partecipazione alla gara in quello ed in quel solo peculiare modo. Poiché quest’ultimo è ontologicamente diverso dal vizio dedotto, ossia dalla erroneità oggettiva della clausola che si assume lesiva, affinché il bisogno di tutela non trasmuti in una censura di diritto oggettivo o meramente emulativa, occorre fornire un serio principio di prova da cui evincasi, con pari rigore argomentativo, che l’effetto preclusivo dell’ATI “sovrabbondante” non corrisponda solo ad una generica difficoltà nell’offerta, ma impedisca la realizzazione d’un progetto di affare economico (purpose of business).


a cura di Sonia Lazzini

passaggio tratto dalla decisione    numero 3402 dell’ 11 giugno  2012 pronunciata dal Consiglio di Stato

accanto all'esclusione, ci possono essere altri motivi di ricorso

quando si impugna un provvedimento di esclusione da una gara ed anche (o poi con motivi aggiunti) l’aggiudicazione della stessa gara ad un’altra impresa partecipante, possono essere dedotte dall’impresa esclusa diversi tipi di censure.

Tali censure possono riguardare solo l’esclusione dalla gara ed in tal caso la decisione del giudice amministrativo (su tale esclusione) determina effetti solo sulla prosecuzione della gara alla quale può essere stata eventualmente riammessa l’impresa esclusa.
Le censure possono poi riguardare (anche) la correttezza della procedura di gara seguita dall’amministrazione. In tal caso la decisione del giudice amministrativo produce effetti sulla prosecuzione (o sulla non prosecuzione) della gara.
Le censure possono ancora riguardare (anche) l’ammissione dell’impresa risultata nelle more eventualmente aggiudicataria. E, a sua volta, l’aggiudicataria può sostenere, con ricorso incidentale, che l’impresa già esclusa (per il motivo contestato) dovesse essere esclusa anche per altri motivi.

Qualora il giudizio (sull’esclusione dalla gara) si sia concluso con la dichiarazione della illegittimità di tale esclusione e l’esclusa sia stata riammessa alla gara (con la conseguente caducazione degli atti successivi ed anche del contratto eventualmente sottoscritto), la procedura di gara deve essere (in parte) rinnovata e si conclude con una nuova aggiudicazione che può essere (ovviamente) impugnata da tutte le imprese partecipanti che hanno interesse e quindi anche dalla impresa che in un primo momento era stata (illegittimamente) esclusa e poi, dopo la riammissione, era risultata comunque non aggiudicataria.
L’impresa non aggiudicataria può censurare sia le valutazioni che hanno condotto all’aggiudicazione della gara in favore dell’altra impresa, sia sostenere l’erronea valutazione della propria offerta (tecnica o economica). Può poi censurare la correttezza della procedura seguita o può chiedere l’esclusione della impresa aggiudicataria per vizi riguardanti la sua ammissione alla gara.
Se tuttavia l’impresa non aggiudicataria, come nella fattispecie in esame, ha già proposto un precedente ricorso avverso la sua esclusione dalla gara (e la conseguente aggiudicazione della stessa ad altra impresa), contestando anche l’ammissione alla gara della aggiudicataria, si deve ritenere che la non aggiudicataria possa impugnare, a conclusione della gara, gli atti ulteriori della procedura, e la nuova aggiudicazione conseguente alla parziale rinnovazione della gara, per vizi propri delle nuove fasi del procedimento, ma non possa anche riproporre questioni che erano state oggetto del precedente giudizio e sulle quali si è formato il giudicato.
L’impresa che ha già fatto ricorso al giudice amministrativo che si è pronunciato con una sentenza passata in giudicato -- a differenza delle altre (eventuali) imprese non aggiudicatarie che possono sollevare nel giudizio avverso la nuova aggiudicazione qualsiasi motivo (di carattere sostanziale o procedurale, riguardante anche l’ammissione alla procedura dell’aggiudicataria) -- non può quindi riproporre nel nuovo giudizio vizi riguardanti la precedente fase della gara che sono stati oggetto di un precedente giudizio e sui quali si è formato il giudicato.
Analoghe considerazioni possono essere fatte per l’impresa che, in quanto aggiudicataria e resistente in un precedente giudizio, ha proposto in tale giudizio un ricorso incidentale nei confronti dell’impresa esclusa e ricorrente contestandone, per altri profili non considerati dall’amministrazione, i requisiti di ammissione.


a cura di Sonia Lazzini

passaggio tratto dalla decisione    numero 5820 del  19 novembre  2012 pronunciata dal Consiglio di Stato

mercoledì 28 novembre 2012

l’autentica notarile è una forma (solenne) maggiore dell'autocertificazione

e’ infondato il ricorso per l’illegittimità dell’aggiudicazione  avendo l’aggiudicataria  prodotto a corredo della polizza fidejussoria a garanzia della gara, un’autentica notarile in luogo della prescritta dichiarazione ex art. 47 del DPR 445/2000 da parte del sottoscrittore della polizza
Osserva il Collegio che la polizza della controinteressata risulta corredata da una allegata dichiarazione notarile riportante (per quel che qui rileva) il seguente testo: "ATTESTO che il sig. * nella sua qualità di Agente Generale della Società  Assicurazioni S.P.A., giusto mandato a rogito Notaio ,della cui identità personale, qualifica, poteri di firma io Notaio sono certo, con riferimento agli artt. 46 e 47 del DPR 445/2000, dopo che io Notaio ho richiamato ed evidenziato le sanzioni penali previste dall’art. 76 del detto DPR 445/2000, consapevole delle responsabilità penali cui può andare incontro in caso di dichiarazione mendace, ha reso in mia presenza la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà di cui sopra. Reggio Calabria, ventotto giugno duemiladodici ".


emerge che la dichiarazione notarile è postergata alla polizza, cui risulta unita da timbri di giunzione del medesimo Notaio

Dall’analisi complessiva del documento non sussiste dunque alcun dubbio circa la persona fisica che ha sottoscritto la polizza, sui suoi poteri di firma (che derivano dalla qualità di Agente generale) e, dunque, su tutti gli elementi sostanziali in ordine ai quali il bando chiede fornirsi specifica attestazione.
Vero è che la dichiarazione notarile è imprecisa quanto al riferimento alla circostanza che viene attestata la “dichiarazione sostitutiva” del sottoscrittore della Polizza, ma tale imprecisione si risolve in un errore immediatamente percepibile di stesura della formula, che è insufficiente a ritenere violato lo scopo di interesse pubblico cui la clausola del bando che si presume violata era preordinata.

In primo luogo, l’autentica notarile è una forma (solenne) maggiore di quella richiesta dal bando,ed estendendosi - nel caso di specie - a tutti gli elementi sostanziali che il bando richiede di attestare assolve alla medesima funzione certativa della dichiarazione sostitutiva di cui all’art. 47 del DPR 445/2000 richiesta dalla lex specialis.
Più precisamente, le autocertificazioni previste dall’art. 47 del DPR 445/2000 sono esse sostitutive delle originarie e corrispondenti certificazioni pubbliche (amministrative o notarili), e non possono essere considerate in alcun modo come preferibili a queste ultime.
Peraltro, le modalità di redazione dell’autentica notarile (che è redatta in data immediatamente successiva a quella della polizza medesima) implicano che l’autentica è riferibile proprio a quella specifica polizza presentata in gara o che, in ogni caso, alla data della sottoscrizione della Polizza il firmatario era nella qualità di emetterla.
D’altro canto, considerare invalida o comunque insufficiente ai fini della gara la dichiarazione notarile così come redatta, solo sulla base di un palese ed evidente errore formale nella sua redazione equivarrebbe ad applicare una causa di esclusione per difetto di documentazione che è palesemente in contrasto con il disposto di cui all’art. 46 del codice dei contratti che, per fattispecie similari, avrebbe comportato tutt’al più l’esercizio di un’attività di integrazione documentale da richiedersi all’interessata.
Non sussistono infatti nel caso di specie quelli condizioni che l’art. 46 comma 1 bis del dlgs 163/2006 prescrive per l’esclusione della concorrente odierna controinteressata dal procedimento di gara, non avendo essa violato, con la presentazione di un’autentica notarile (sebbene resa in un testo solo formalmente imperfetto) in luogo dell’autodichiarazione richiesta a corredo della polizza richiesta ex art. 47 del DPR 445/2000, alcuna previsione del medesimo codice, o del regolamento, né sussistendo in tale caso alcuna incertezza sul contenuto o sulla provenienza dell’offerta o della documentazione a corredo, inclusa la polizza.

a cura di Sonia Lazzini

passaggio tratto dalla sentenza  numero 674 del  20 novembre  2012 pronunciata dal Tar Calabria, Reggio Calabria

in caso di mancata comprova del possesso dei requisiti, è inevitabile l'escussione della cauzione provvisoria

Nel caso di specie, pertanto, correttamente la stazione appaltante ha proceduto all’adozione di tutte e tre le misure, esclusione, segnalazione, incameramento della cauzione provvisoria

Quanto all’ambito di applicazione dell’art. 48 codice appalti, erra l’appellante a sostenere che esso si applica solo in caso di false dichiarazioni; al contrario, esso si applica interamente anche nel caso di mancata produzione tempestiva dei prescritti documenti; in entrambe le ipotesi conseguono l’esclusione, l’incameramento della cauzione provvisoria, la segnalazione all’Autorità di vigilanza.
Anche di recente la giurisprudenza della Sezione ha ribadito che l’art. 48 codice appalti prevede un termine perentorio per la produzione documentale, decorso il quale conseguono inevitabilmente i tre effetti previsti dalla legge, vale a dire l’esclusione, l’incameramento della cauzione e la segnalazione all’Autorità; l’eventuale produzione tardiva dei documenti può acquisire rilevanza, sempre che i documenti siano veritieri, al solo diverso fine dei provvedimenti sanzionatori dell’Autorità di vigilanza (Cons. St., sez. VI, 28 settembre 2012 n. 5138).

L’art. 48 codice appalti, nel prevedere un termine perentorio per la prova dei requisiti in sede di controllo a campione, prevede, quali automatiche conseguenze dell’inosservanza del termine:
- l’esclusione dalla gara;
- l’incameramento della cauzione provvisoria;
- la segnalazione del fatto all’Autorità di vigilanza per i provvedimenti sanzionatori e per la sospensione della partecipazione alle procedure di affidamento da uno a dodici mesi.
Le misure in questione conseguono automaticamente e senza possibilità di apprezzamento discrezionale, sia al caso di mancata produzione della documentazione richiesta, sia al caso di produzione tardiva, sia al caso di produzione di documenti inidonei, incompleti, o addirittura falsi.
Tutte tale ipotesi integrano la fattispecie che si denomina, unitariamente e omnicomprensivamente, come inosservanza dell’obbligo documentale sancito dall’art. 48, codice.
Non è consentita all’amministrazione una graduazione o una scelta tra le tre misure, a seconda della gravità della violazione e del tipo di violazione (inosservanza pura e semplice dell’obbligo, risposta tardiva, risposta incompleta o falsa) (Cons. St., sez. V, 17 aprile 2003 n. 2081; Cons. St., sez. V, 8 maggio 2002 n. 2482).
La possibile diversa gravità dei fatti - omissione, ritardo, documentazione incompleta o falsa - è suscettibile di apprezzamento solo in sede di irrogazione delle sanzioni da parte dell’Autorità di vigilanza.
In quella sede, in funzione della maggiore o minore gravità del fatto, potrà essere comminata una sanzione pecuniaria di importo più o meno elevato, e una sanzione interdittiva di maggiore o minore durata

a cura di Sonia Lazzini

passaggio tratto dalla decisione    numero 5921 del  22 novembre  2012 pronunciata dal Consiglio di Stato

sorteggio ex art 48 cod contra_i sorteggiati devono produrre documentazione probatoria vera e propria

l’autocertificazione del possesso dei requisiti non è possibile nella fase di verifica del possesso degli stessi ex art 48 codice contratti ma solo in quella di presentazione delle offerte

occorre distinguere, nelle gare di appalto, la fase di presentazione delle domande di partecipazione e delle offerte (che riguarda tutti i concorrenti), dalla fase successiva di verifica del possesso dei requisiti dichiarati in gara (che si svolge ineluttabilmente nei confronti del primo e secondo classificato, e per sorteggio nei confronti del 10% dei partecipanti alla gara)

Nella fase di presentazione delle domande di partecipazione e delle offerte, è consentito, per ragioni di speditezza del procedimento, il ricorso alle autocertificazioni (art. 42, comma 4; art. 74, comma 7).
Le disposizioni invocate da parte appellante, e in particolare l’art. 42, comma 4, e l’art. 74, comma 7, codice appalti, laddove richiamano le dichiarazioni sostitutive, e l’art. 18, l. n. 241/1990 si riferiscono solo a tale fase di presentazione delle domande di partecipazione e delle offerte.
Nella fase di verifica del possesso dei requisiti, vuoi in sede di controllo a campione, vuoi in sede di controllo nei confronti del primo e secondo classificato, è invece necessario che i concorrenti forniscano la documentazione probatoria vera e propria, proveniente da enti pubblici e privati, non essendo più sufficiente l’autocertificazione, né essendo prescritto che le stazioni appaltanti acquisiscano d’ufficio la documentazione probatoria dei requisiti di capacità tecnico-economica.
Tanto si desume da puntuali disposizioni normative e dai principi generali sottesi al codice appalti

a cura di Sonia Lazzini

passaggio tratto dalla decisione    numero 5921 del  22  novembre  2012 pronunciata dal Consiglio di Stato

sulla legittimità del controllo a campione per la comprova dei requisiti speciali

L’art. 48, relativo al controllo sul possesso dei requisiti, nei confronti del primo e secondo classificato, nonché del 10% dei concorrenti individuati mediante sorteggio pubblico, è disposizione di carattere generale, applicabile oltre che agli appalti di lavori, anche a quelli di servizi e forniture.

Esso consente alle stazioni appaltanti di esigere dai concorrenti di provare i requisiti speciali mediante la documentazione prescritta dalla lex specialis di gara.
Si tratta di una disposizione chiaramente derogatoria della l. n. 241/1990 e dei principi in materia di dichiarazioni sostitutive e autocertificazioni, a garanzia della serietà delle gare pubbliche.

l’art. 48 codice appalti, laddove fissa un termine di dieci giorni entro cui i concorrenti devono fornire la prova dei requisiti dichiarati, non impone alcun onere sproporzionato o esorbitante: esso esige che entro dieci giorni il concorrente “fornisca” la prova, non già che entro dieci giorni il concorrente “si procuri” la prova. Infatti è ragionevole presumere che il concorrente, già nel momento in cui presenta la domanda di partecipazione e l’offerta, abbia la prova di ciò che dichiara, e dunque nei dieci giorni deve solo inviare una documentazione già predisposta.

Giova osservare che l’Autorità di vigilanza dei lavori pubblici ha ritenuto l’art. 48 codice appalti derogatorio dell’art. 18, l. n. 241/1990, e ha statuito che la stazione appaltante ben può esigere che il concorrente produca documentazione in possesso di pubbliche amministrazioni diverse dalla stazione appaltante (delibera n. 15/2000 e determinazione n. 5/2009).
Anche secondo la giurisprudenza la disciplina sul controllo a campione è speciale e successiva rispetto alla normativa sulla semplificazione documentale (l. n. 127/1997 e d.P.R. n. 403/1998), sicché è prevalente nel senso di imporre alle imprese un onere di documentazione in deroga alla disciplina della semplificazione documentale (Cons. St., sez. V, 9 dicembre 2002 n. 6768).


Si deve anche osservare che mentre il possesso dei requisiti generali (di carattere morale) di cui all’art. 38, codice appalti, può essere provato mediante certificazioni pubbliche acquisibili agevolmente d’ufficio dalla stazione appaltante, il possesso dei requisiti speciali di capacità economico – finanziaria e tecnico-professionale attiene a fatti propri del concorrente, che da lui sono conosciuti e comprovabili. Non è invece esigibile che sia la stazione appaltante ad andare alla ricerca della prova del possesso dei requisiti, in relazione a dati che non sono nella sua disponibilità.
E’ perfettamente comprensibile, sul piano dei principi, che il codice appalti deroghi al principio di non aggravamento del procedimento amministrativo, e non vi è alcun contrasto con i generali principi di ragionevolezza e proporzionalità, che sono pienamente rispettati, perché esigere dal concorrente la prova di fatti propri del concorrente medesimo non viola alcun canone di proporzionalità e ragionevolezza.
Non senza considerare, poi, che i principi di ragionevolezza e proporzionalità vanno coniugati con quello di speditezza della gara di appalto (sicché non si possono imporre alla stazione appaltante oneri esorbitanti e doveri di soccorso non necessari) e con quelli di lealtà e buona fede dei concorrenti, che, secondo un modello di concorrente diligente, devono partecipare alle gare di appalto con l’adeguata preparazione e predisposizione di tutta la documentazione necessaria, che non può non essere in loro possesso.
Un concorrente che dichiara in gara di aver svolto pregressi servizi per committenti pubblici e privati, deve diligentemente precostituirsi la prova delle sue dichiarazioni, acquisendo tempestivamente la certificazione di tali servizi (che in realtà dovrebbe procurarsi non appena concluso l’espletamento del servizio) senza attendere di essere sorteggiato per il controllo a campione, e poi dolersi di avere solo dieci giorni di tempo per fornire una prova che dovrebbe essere già in suo possesso.

a cura di Sonia Lazzini

passaggio tratto dalla decisione    numero 5921 del  22 novembre  2012 pronunciata dal Consiglio di Stato

non vi puo' essere il dovere di soccorso per certificazioni non prodotte_colpa del concorrente

la mancata produzione della certificazione dei servizi è imputabile a negligenza del concorrente. L’imprenditore che esegue servizi per committenti pubblici e privati ha l’onere di farsi rilasciare un certificato/dichiarazione di regolare esecuzione, chiedendolo sin dalla fase di ultimazione del servizio, e non solo in occasione di una gara successiva.

Non vi erano i presupposti per l’esercizio del potere di soccorso della stazione appaltante ai sensi dell’art. 46 codice appalti.
Tale disposizione presuppone che le parti abbiano presentato i documenti, certificati e dichiarazioni prescritti, e che siano solo necessari chiarimenti.
La disposizione non mira a supplire a omissioni di documenti e dichiarazioni la cui presentazione è imposta entro un termine perentorio.

Nel caso di specie il concorrente sapeva sin dalla pubblicazione del bando di gara che in corso di gara poteva essere richiesto della prova dei requisiti dichiarati; ha omesso di presentare i documenti nel termine perentorio indicato dalla stazione appaltante; vi è dunque una omissione imputabile al concorrente, si fa questione di mancata produzione di documenti, non di necessità di chiarimenti su documenti prodotti.

a cura di Sonia Lazzini

passaggio tratto dalla decisione    numero 5921 del  22 novembre  2012 pronunciata dal Consiglio di Stato

martedì 27 novembre 2012

avvalimento soa_ necessaria indicazione dello stabilimento, del personale e dei mezzi a disposizione

una volta ammessa l'astratta operatività dell'avvalimento per le attestazioni e le certificazioni, non può essere trascurata l'evidente difficoltà "pratica" di dimostrare, in concreto, l’effettiva disponibilità di un requisito che, per le sue caratteristiche, è collegato all'intera organizzazione dell'impresa, alle sue procedure interne, al bagaglio delle conoscenze utilizzate nello svolgimento delle attività.

In questo contesto, è onere della concorrente dimostrare che l'impresa ausiliaria non si impegna semplicemente a "prestare" il requisito soggettivo richiesto, quale mero valore astratto, ma assume l'obbligazione di mettere a disposizione dell'impresa ausiliata, in relazione all'esecuzione dell'appalto, le proprie risorse e il proprio apparato organizzativo, in tutte le parti che giustificano l'attribuzione del requisito di qualità (a seconda dei casi: mezzi, personale, prassi e tutti gli altri elementi aziendali qualificanti).
Osserva allora la Sezione che, alla stregua delle coordinate fissate in materia da detto condivisibile indirizzo giurisprudenziale (cfr. anche Cons. Stato, sez. V, 23 maggio 2011, n. 3066), il raggruppamento Ricorrente-Ricorrente 2 non ha dimostrato il possesso del requisito soggettivo concernente il possesso dell’attestazione SOA per la categoria OS13, essendo all’uopo inidonea la produzione del contratto di avvalimento stipulato con la società PAC s.r.l. relativo alla mera "messa a disposizione" del possesso di tale certificazione senza menzione specifica di mezzi, risorse e personale concretamente messi a disposizione.

Non emerge infatti che il contratto prodotto in sede di gara stabilisca anche un chiaro impegno dell'impresa ausiliaria di fornire strutture, personale qualificato, tecniche operative, mezzi collegati alla qualità soggettiva "concessa".
Né può ritenersi che tale impegno comprenda, implicitamente, anche quello relativo alla concreta "cessione" dei mezzi organizzativi correlati al conseguimento della certificazione.
Detto obbligo esecutivo, poi, non deriva nemmeno dall'assunzione di responsabilità solidale nei confronti della stazione appaltante.
Non assume inoltre rilievo decisivo, a favore delle società appellanti, la presunta specialità ella categoria OS13, relativa alla produzione di strutture prefabbricate in cemento armato in forza di un ciclo unitario da svolgere in stabilimento, visto che il combinato disposto degli artt. 49 del codice dei contatti e 88 del regolamento di esecuzione di cui al d.P.R. n. 210/1977 impone senza eccezioni l’indicazione di risorse e mezzi prestati in modo compiuto, esplicito ed esauriente (vedi anche la determinazione 1° agosto 2012, n. 2, dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture).
Peraltro, la necessaria indicazione dello stabilimento, del personale e dei mezzi che sarebbero stati mezzi a disposizione si rendeva nella specie ancora più pregnante alla luce dell’avvenuto prestito del requisito in parola da parte della società ausiliare in favore di altro concorrente nell’ambito di distinta procedura di gara e del conseguente rischio di un affidamento meramente “cartolare” inidoneo a soddisfare contemporaneamente più esigenze operative.
Alla deduzione secondo cui la soluzione progettuale dall’appellante sarebbe stata priva di elementi prefabbricati e, quindi, non avrebbe avuto bisogno dell’attestato SOA di che trattasi, è sufficiente opporre, per un verso, che la necessità del possesso del requisito era sancita in modo inderogabile dalla normativa di gara in ossequio alla disciplina statale a monte; e, per altro verso, che il legale rappresentante di Ricorrente s.p.a. ha prodotto in sede di gara apposita dichiarazione per procedere al subappalto proprio delle “opere prefabbricate cat. O.S. 13 nei limiti di legge”


a cura di Sonia Lazzini

passaggio tratto dalla decisione    numero 5853 del  19 novembre  2012 pronunciata dal Consiglio di Stato