lunedì 30 luglio 2012

convenzioni Consip_ singoli contratti conclusi dopo emissione ordinativo Amministrazione interessata.

il sistema centralizzato di acquisti di beni e di servizi per la Pubblica amministrazione, istituito dalla l. 23 dicembre 1999, n. 488 (legge finanziaria 2000) e gestito dal Ministero dell'economia e delle finanze mediante una società concessionaria appositamente istituita (Consip s.p.a., appunto), si configura quale Convenzione quadro per l'acquisizione di beni e servizi.

I singoli contratti di fornitura devono considerarsi conclusi a tutti gli effetti con l'emissione dell'ordinativo di fornitura da parte dell'Amministrazione interessata.

La presenza di una Convenzione quadro tra Consip e fornitore - destinata a promuovere un numero indeterminato di contratti - rivela l'esistenza di un collegamento negoziale necessario fra i due rapporti, di modo che gli effetti del primo si comunicano anche al conseguente ordinativo richiesto dall'Amministrazione contraente.



Ai sensi dell'art. 2043 c.c., il danno è risarcibile soltanto in presenza di un evento ingiusto

E’ noto che presupposti per la liquidazione del risarcimento dei danni sono: a) la colpa dell'Amministrazione; b) l'effettiva sussistenza del danno; c) il nesso di causalità fra il provvedimento ed il danno (Cons.St., sez. V, 23 maggio 2011, n. 3070).

Ai sensi dell'art. 2043 c.c., il danno è risarcibile soltanto in presenza di un evento ingiusto, consistente nella lesione di un interesse meritevole di tutela da parte dell'ordinamento, che fonda la sussistenza di una posizione soggettiva; deve inoltre trattarsi di un danno che presuppone la titolarità di un interesse apprezzabile, differenziato, giuridicamente rilevante e meritevole di tutela, che inerisce al contenuto stesso della posizione sostanziale e deve essere inoltre ricollegabile, con nesso di causalità immediato e diretto, al provvedimento impugnato (Cons.St., sez. IV, 2 aprile 2012, n. 1957).

non viene riconosciuto nè il danno emergente nè per perdita di immagine

Nessun risarcimento spetta invece con riferimento al danno “cd. emergente”, che la ricorrente assume di aver subito in conseguenza dei costi sopportati per dotare il suo magazzino di prodotti e delle parti di ricambio necessari per far fronte all’affidamento che era sicura di riottenere dall’Inps anche per il quadriennio 2008-2011 e, in particolare, agli interventi di manutenzione che sarebbe stata chiamata a compiere.

Costituisce infatti dato di comune esperienza che nessun operatore economico può avere la sicurezza di risultare, al termine del periodo contrattuale dell’appalto, nuovamente affidatario dello stesso.
In ogni caso è assorbente la considerazione che i costi che l’operatore economico sopporta per realizzare il prodotto che immette sul mercato costituiscono una componente del prezzo complessivo di vendita, il cui mancato introito per fatto addebitabile alla stazione appaltante viene risarcito a titolo di lucro cessante (id est, “per mancato guadagno”).
Aggiungasi che la pretesa della ricorrente presuppone che essa abbia un solo cliente (l’Inps), il che mal si concilia con l’ampio spazio riservato nei suoi scritti difensivi alla definizione del ruolo fondamentale che svolgerebbe nel mercato degli strumenti elettrici in quanto unica titolare del diritto di privativa industriale inerente alla costruzione e commercializzazione dei gruppi di continuità RICORRENTE, strumenti questi di cui probabilmente non si serve solo l’Inps.

9. Nessun risarcimento è dovuto alla ricorrente per il “danno all’immagine”, che immotivatamente e irragionevolmente assume di aver ricevuto pur essendo fatto noto che si tratta di istanza che può essere avanzata solo dall’impresa che è stata esclusa dalla gara per ragioni - afferenti alla propria figura morale o alla propria capacità professionale - dimostratesi del tutto inesistenti. La ricorrente non è stata ammessa alla gara perchè l’Inps ha optato per l’affidamento diretto, cioè per lo strumento giuridico che ora la ricorrente contesta pur avendone peraltro fruito per circa un decennio.


10. Chiariti i criteri per la quantificazione del danno da risarcire, per la sua puntuale determinazione il Collegio si avvale della possibilità, prevista dall’art. 34, comma 4, c.p.a., di demandare all’Inps tale incombenza, che dovrà essere espletata entro sessanta giorni dalla notificazione o, se anteriore, dalla comunicazione della presente sentenza.

A tal fine l’Istituto previdenziale dovrà stimare il numero dei possibili partecipanti alla gara, tenendo presente precedenti gare da esso o da altre Pubbliche amministrazioni bandite, nel presente o in un recente passato, per l’affidamento di identico o analogo servizio; a detto Istituto la ricorrente dovrà a sua volta produrre (entro venti giorni dalla notificazione o, se anteriore, dalla comunicazione della presente sentenza) sicure prove documentali di non aver potuto utilizzare diversamente maestranze e mezzi per l’espletamento di altri servizi.

tratto dalla sentenza numero 6868 del 24 luglio 2012 pronunciata dal Tar Lazio, ROMA

Se preclusa in radice la partecipazione ad una gara, il danno è la perdita di chance

Passando alla quantificazione del danno da risarcire - nella specie il danno da lucro cessante - ha chiarito il giudice di appello (Cons.St., sez. V, 2 novembre 2011, n. 5837) che nel caso di affidamento di un appalto a trattativa privata, anziché mediante pubblica gara, proprio perché non c'è stata gara, non è possibile una valutazione prognostica e virtuale sull'esito di una procedura comparativa mai svolta.

Non è possibile prevedere, in particolare, quali e quante offerte sarebbero state presentate, quale offerta avrebbe presentato l'impresa che chiede il risarcimento e se tale offerta sarebbe stata, o meno, vincente. Quando ad un operatore è preclusa in radice la partecipazione ad una gara - con la conseguenza che non è possibile dimostrare, ex post, né la certezza della sua vittoria, né la certezza della non vittoria - la sola situazione soggettiva tutelabile è la chance, e cioè l'astratta possibilità di un esito favorevole (Cons.St., sez. VI, 18 dicembre 2001, n. 6281).

Il risarcimento per perdita di chance, secondo i principi, può avvenire, in astratto, in forma specifica oppure per equivalente.

Nel caso all’esame del Collegio l’esaurimento del servizio oggetto di contestazione rende vincolata la liquidazione del danno per equivalente.
Questa forma di riparazione prevede che il risarcimento venga quantificato con la tecnica della determinazione dell'utile conseguibile in caso di vittoria, rapportato al prezzo pattuito in concreto per la complessiva commessa convenuta, essendo questo l'unico elemento utilizzabile in assenza di una procedura di gara (Cons.St., sez. IV, 6 ottobre 2004, n. 6491).
Nel caso in esame è ovvio che il prezzo da prendere in considerazione non è quello ricavato dalla ricorrente nel triennio precedente, come da essa preteso, ma quello che l’Inps si era impegnato a corrispondere al controinteressato aggiudicatario per il quadriennio 11 luglio 2008-30 novembre 2011, e che per la ricorrente costituisce elemento da far necessariamente proprio in funzione di un credibile esito favorevole della sua partecipazione alla gara, ancorchè necessariamente fondato a parità di offerta economica su altre ragioni.

Ciò premesso, la misura del risarcimento da liquidare alla Ricorrente può essere quantificata facendo ricorso all’indirizzo giurisprudenziale prevalente che individua l’utile d’impresa nella misura forfettaria del 10% della sua offerta (Cons. St., sez. VI, 11 gennaio 2010, n. 14; sez. IV, 6 luglio 2004, n. 5012; sez. V, 8 luglio 2002, n. 3796) – che, come si è detto, nel caso in esame deve essere necessariamente sostituita (non avendo la Ricorrente presentato un’offerta proprio in ragione della mancata indizione di una gara) da quella formulata dalla controinteressata affidataria del servizio e accettata dall’Inps - con i correttivi che la stessa giurisprudenza ha da tempo imposto al dichiarato fine di contenere la misura dei danni liquidati ed evitare che il risarcimento per perdita di chance diventi per le imprese obiettivo preferenziale rispetto all’aggiudicazione dell’appalto. Il correttivo al quale il giudice amministrativo fa sistematico richiamo nelle sue pronunce è quello che prevede la riduzione dell’utile d’impresa al 5% nel caso in cui la ricorrente non dimostri di non aver potuto utilizzare diversamente maestranze e mezzi per l’espletamento di altri servizi (Cons. St., sez. VI, 11 gennaio 2010, n.14; 9 novembre 2006, n. 6607; sez. V, 24 ottobre 2002, n. 5860); altro correttivo usuale è l’ulteriore riduzione del succitato utile d’impresa in ragione delle minori possibilità di aggiudicazione conseguenti ad un numero elevato di potenziali partecipanti alla procedura selettiva con eguali possibilità di aggiudicazione dell’appalto (Cons. St., sez. VI, 11 gennaio 2010, n. 14; id. 8 maggio 2002, n. 2485).
Quanto al danno curriculare, lo stesso deve intendersi quello conseguente all’impossibilità di utilizzare le referenze derivanti dall’esecuzione dell’appalto nell’ambito di futuri ed eventuali procedimenti di gara ai quali l’impresa potrebbe partecipare; ossia il danno derivante dal mancato incremento del fatturato derivante dalle commesse eseguite che l’aggiudicazione dell’appalto avrebbe comportato. Alla mancata esecuzione dell’appalto si ricollegano, infatti, indiretti nocumenti al radicamento della società nel mercato, per non dire del potenziamento di imprese concorrenti che operino su medesimo target di mercato (Tar Lazio, sez. II ter, 11 aprile 2011, n. 3169; Tar Lazio, sez. I ter, 23 marzo 2011, n. 2580). Tale danno può equitativamente essere calcolato nell’1% dell’importo globale del servizio da aggiudicare.



11. Alla somma in tal modo quantificata dall’Inps deve essere applicata la rivalutazione monetaria secondo gli indici ISTAT, trattandosi di debito di valore, con decorrenza dalla data del provvedimento di affidamento del servizio fino al deposito della presente decisione; sulla somma così rivalutata si computeranno gli interessi legali calcolati esclusivamente dalla data di deposito della presente decisione fino all'effettivo soddisfo (Cons. St., sez. VI, 21 maggio 2009, n. 3144).

tratto dalla sentenza numero 6868 del 24 luglio 2012 pronunciata dal Tar Lazio, ROMA

La responsabilità civile extracontrattuale e il danno ingiusto da ritardo

il risarcimento del danno da ritardo nell’esplicazione dricorrente attività pubblicistiche, va ascritto, come del resto si accenna anche nel ricorso, alla responsabilità extracontrattuale,

 gli elementi costitutivi di siffatta responsabilità della pubblica amministrazione, desunti dalla elaborazione civilistica della materia, sono la condotta, l’antigiuridicità della stessa, il danno ingiusto, il nesso di causalità tra condotta ed evento e la colpevolezza, e che occorrono, pertanto, la contestuale presenza degli stessi per la configurabilità della menzionata responsabilità



Ciò posto, viene richiamata la storica decisione dricorrente Sezioni Unite della Cassazione n. 500/1999 che ha chiarito che il giudice è chiamato a svolgere un’indagine non limitata al solo accertamento dell’illegittimità del provvedimento, bensì estesa anche alla valutazione della colpa, non del funzionario agente (da riferire ai parametri di negligenza ed imperizia), ma della p.a. intesa come apparato, la quale è configurabile nel caso in cui l’adozione o l’esecuzione dell’atto illegittimo sia avvenuta in violazione dricorrente regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione alle quali l’esercizio della funzione amministrativa deve ispirarsi.


In più penetrante analisi, poi, la successiva elaborazione giurisprudenziale ha avuto modo di affermare in materia i seguenti principi:
- la colpa dell’amministrazione deve essere accertata in concreto, non potendosi la stessa essere ritenuta in re ipsa per effetto della mera illegittimità del provvedimento;
- la colpa deve essere accertata in senso oggettivo, tenendo conto dei vizi che hanno prodotto l’illegittimità dell’azione, della gravità dricorrente violazioni commesse, dei precedenti giurisprudenziali in materia, dell’univocità o meno del dato normativo, dricorrente condizioni concrete, dell’apporto dei soggetti destinatari dell’atto (cfr. Cons. Stato, IV, 24-4-2009, n. 2580);
- l’illegittimità del provvedimento rileva comunque sul piano probatorio, in quanto vale di per sé a fondare una presunzione relativa di colpa in capo all’amministrazione;
- grava , di conseguenza, su quest’ultima l’onere di fornire elementi volti a superare la richiamata presunzione, ovvero ad attestare che la condotta illegittima non rechi in sé gli elementi della condotta colposa (cfr. Cons.Stato, VI, 13-2-2009, n. 776);
- la sussistenza della colpa, dunque, viene esclusa nell’ipotesi di errore scusabile da parte della p.a., esimente configurabile quando questa si è determinata all’emanazione dell’atto per errata interpretazione dricorrente norme, derivante da non sanato conflitto giurisprudenziale, da perdurante oggettivo contrasto interpretativo a livello amministrativo, ovvero da formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore (cfr. Cons.Stato, VI, 11-1-2010, n. 14).
Rileva, dunque, per la sussistenza della responsabilità l’elemento soggettivo della colpa.
3.1) Descritti i principi generali che presiedono la materia, deve aggiungersi che, nella responsabilità della P.A. per ritardo nell’esplicazione dricorrente sue attività che è quella che interessa nella controversia in esame, la presenza dell’elemento colpa è espressamente prevista, nell’ipotesi d’inosservanza del termine di conclusione del procedimento, dall’art. 2 bis della legge n. 241/1990 che stabilisce che la P.A. è tenuta al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza della detta inosservanza “dolosa o colposa”.
Ed a quest’ultimo riguardo va richiamata ancora la giurisprudenza, dalla quale non v’è motivo di discostarsi, secondo cui la risarcibilità del danno da ritardo, ai sensi del suddetto art. 2 bis, postula il necessario accertamento della colpa dell’inerzia, non bastando la sola violazione del termine di durata del procedimento il quale di per sé non dimostra l’imputabilità del ritardo, potendo la particolare complessità dricorrente attività prescritte o il sopraggiungere di evenienze non imputabili all’Amministrazione escludere la sussistenza della colpa. (Cfr. TAR Puglia - Lecce – sez III – 22/2/2007 n. 623; id. TAR Toscana – sez. II – 31/10/2010 n. 5145; id. TAR Veneto – sez. – 29/1/2010 n. 197)


riportiamo qui di seguito la sentenza numero 1466 del 25 luglio 2012 pronunciata dal Tar Campania, Salerno

offerta risarcitoria è da quantificarsi nella misura del 5% prezzo offerto esecuzione appalto

Per quanto concerne il lucro cessante, non può essere accolta la richiesta di liquidazione di una somma pari al 10% del prezzo offerto per l’esecuzione dei lavori, poiché anche tale richiesta non è supportata da sufficienti elementi probatori.

Sul punto la giurisprudenza amministrativa ha ripetutamente chiarito che il criterio del 10% del prezzo, per quanto in grado di fondare una presunzione su quello che normalmente è l'utile che un’impresa trae dall'appalto, non può tuttavia essere oggetto di applicazione automatica ed indifferenziata, poichè rischierebbe di condurre al risultato che il risarcimento dei danni sia, per l'imprenditore, più favorevole dell'impiego del capitale. Ha inoltre precisato che il lucro cessante da mancata aggiudicazione può essere risarcito per intero solo quando l'impresa documenti di non aver potuto utilizzare mezzi e maestranze, lasciati disponibili, per l'espletamento di altre commesse, mentre quando tale dimostrazione non sia stata offerta è da ritenere che l'impresa possa avere ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per lo svolgimento di altri analoghi lavori, così vedendo in parte ridotta la propria perdita di utilità, con conseguente riduzione, in via equitativa, del danno risarcibile, in applicazione del principio dell'aliunde perceptum, la cui assenza deve essere provata dall’impresa e non dall’amministrazione (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 13.6.2008 n. 2967; Sez. VI, 9.6.2008 n. 2751; Sez. VI, 21.5.2009 n. 3144).

Non risulta quindi del tutto sufficiente, al fine di ottenere il ristoro pieno del luco cessante, allegare di non aver acquisito contratti pubblici dal 2009, poiché l’aliunde perceptum può derivare anche dall’esecuzione di contratti privati o da altre attività in cui impiegare mezzi e maestranze che altrimenti resterebbero inattivi. L’onere di provare tali mancate attività incombe sulla ricorrente, trattandosi di informazioni nella sua disponibilità.
Non è comunque in contestazione la mancata acquisizione, quantomeno, di altre commesse pubbliche nel periodo di riferimento, mentre appare evidente che, dall’esecuzione dell’appalto, la ricorrente avrebbe certamente tratto un utile commisurato al prezzo offerto.
Di conseguenza l’entità del risarcimento dovrà essere ridotta rispetto a quanto richiesto.
10.4 Alla luce delle considerazioni esposte nei punti precedenti, il Collegio ritiene di fare applicazione dei poteri di quantificazione equitativa di cui agli artt. 2056 e 1226 del Codice Civile, secondo la procedura di cui all’art. 34 comma 4 del D.Lgs. n. 104/2010.

Entro 60 giorni dalla notifica della presente sentenza, Marche Multiservizi formulerà un’offerta risarcitoria ed onnicomprensiva da quantificarsi nella misura del 5% del prezzo offerto per l’esecuzione dell’appalto (calcolato applicando al prezzo a base d’asta, al netto dei costi per la sicurezza, la percentuale di ribasso offerta dalla ricorrente), da cui saranno detratte le somme eventualmente già corrisposte a titolo di rimborso spese o a titolo risarcitorio.

Su detta somma, trattandosi di debito di valore, compete la rivalutazione monetaria secondo gli indici Istat con decorrenza dalla data di stipula del contratto fino alla data di deposito della presente decisione; sulla somma così rivalutata si computeranno gli interessi legali calcolati esclusivamente dalla data di deposito della presente decisione fino all'effettivo soddisfo.


Tratto dalla sentenza numero 546 del 27 luglio 2012 pronunciata dal Tar Marche, Ancona

riconosciuto risarcimento commisurato alle utilità eventuale esecuzione dei lavori

Relativamente al danno, va altresì disatteso quanto dedotto dai resistenti secondo cui, essendo stato annullato il contratto di appalto, lo stesso dovrebbe identificarsi nella sola reintegrazione in forma specifica attraverso la possibilità di partecipare alla successiva procedura indetta per l’aggiudicazione dei medesimi lavori.

Al riguardo va infatti osservato che, all’esito della procedura poi annullata da questo Tribunale, la ricorrente era risultata aggiudicataria, assumendo quindi una posizione ben diversa, riguardo al bene della vita, rispetto a quella della molteplicità dei possibili offerenti in una procedura il cui esito è del tutto incerto.
L’impossibilità di mantenere tale bene della vita, acquisito mediante l’aggiudicazione definitiva e la successiva stipula del contratto, rappresenta la menomazione patrimoniale che la ricorrente ha subito per causa imputabile al comportamento della stazione appaltante che si è poi vista annullare gli atti di gara.

 Alla ricorrente aspetta quindi un risarcimento economico commisurato alle utilità che avrebbe verosimilmente tratto dall’esecuzione dei lavori.

Dalle stesse va innanzi tutto esclusa l’autonoma rilevanza delle spese sostenute per la partecipazione alla gara e per la stipulazione del contratto, trattandosi di costi comunque necessari per aggiudicarsi ed eseguire i lavori in oggetto e che costituiscono voci negative nella quantificazione del profitto al pari degli altri costi aziendali (cfr., ex multis, Cons. Stato Sez. VI, 16.9.2011 n. 5168; Sez. V, 15.2.2010 n. 808; Sez. VI, 9.6.2008 n. 2751; Id., 21.5.2009 n. 3144).
10.2 Va altresì esclusa l’autonoma rilevanza dell’invocato danno curriculare, poiché non fornito di adeguato supporto probatorio.
Al riguardo la ricorrente si limita ad allegare il possesso dell’attestazione SOA per la categoria OG1-Classe II, evidenziando il rischio di non poterla conservare qualora non riuscisse ad ottenere nuovi lavori.
Al momento si tratta, quindi, di un eventuale danno futuro, risarcibile, tuttalpiù, nei limiti del pericolo che tale evento dannoso possa verificarsi e delle relative probabilità.

Tratto dalla sentenza numero 546 del 27 luglio 2012 pronunciata dal Tar Marche, Ancona

La stessa Amministrazione non offre poi elementi per accertare l’eventuale scusabilità dell’errore

Sussiste la colpa dell’Amministrazione con riferimento alla duplice circostanza di aver prima inserito il plico della Ditta Beta Costruzioni nella gara sbagliata e poi, scoperto l’errore, di non aver adottato tutte le misure e le cautele necessarie per evitare l’annullamento dell’intera procedura

(su tali possibilità, cfr., di recente, anche Cons. Stato, Sez. VI, Ord. 2.5.2012 n. 2515 che rimette all’Adunanza Plenaria l’esame di possibili soluzioni per assicurare una ragionevole mediazione tra i principi di conservazione degli atti di gara, segretezza delle offerte, trasparenza e imparzialità dell’azione amministrativa).

Dalle predette circostanze è poi scaturito l’annullamento dell’aggiudicazione in favore della ricorrente, evidenziando così il nesso causale tra l’attività dell’amministrazione e l’evento dannoso per il terzo.


Al riguardo non può essere condivisa la deduzione, prospettata da Marche Multiservizi, circa le diverse attività delle due commissioni di gara (ovvero la commissione deputata allo svolgimento della gara in oggetto e la commissione deputata allo svolgimento della gara in cui venne erroneamente inserito in plico della Ditta Beta Costruzioni), trattandosi comunque di fatti imputabili al medesimo ente, indipendentemente dalla sua organizzazione interna.
Tale circostanza rileverà, semmai, per individuare la persona o le persone fisiche responsabili del danno, nel caso in cui l’ente voglia intraprendere un’azione di rivalsa.

La stessa Amministrazione non offre poi elementi per accertare l’eventuale scusabilità dell’errore e dell’omissione ovvero l’impossibilità tecnico-fattuale di evitare l’accaduto per fatti e circostanze non imputabili alla sua responsabilità.

Tratto dalla sentenza numero 546 del 27 luglio 2012 pronunciata dal Tar Marche, Ancona

non è allo stato possibile pronunciarsi sul risarcimento del danno per equivalente

Nulla si dispone in riferimento al risarcimento del danno per equivalente, in quanto non oggetto di domanda, limitata esclusivamente, anche nella memoria depositata in vista dell’udienza pubblica, alla mera richiesta di subingresso nel contratto de quo.

Invero, l'art. 124, 1° comma, secondo periodo, d.lg.vo 104/2010 stabilisce che "se il giudice non dichiara l'inefficacia del contratto dispone il risarcimento del danno per equivalente, subito e provato".

Deve trattarsi, quindi, di danno "subito e provato", il che, per un verso, porta a ritenere, secondo i consolidati principi, confermati dall’art. 30 c.p.a., che stabilisce termini perentori per la domanda di risarcimento, che quest’ultima debba essere espressamente formalizzata per essere delibata; per un altro verso (cfr. T.A.R. L'Aquila, sez. I, 29 dicembre 2011, n. 752), <<porta ad escludere che possa trovare applicazione l'orientamento giurisprudenziale secondo cui il danno va liquidato in via equitativa ex art. 2056 c.c., secondo il cd. utile di impresa previsto dall'art. 134 comma 2, d.lg. 12 aprile 2006 n. 163 e quantificato dal legislatore nel 10% del prezzo a base d'asta depurato del ribasso offerto dal ricorrente (cfr. T.A.R. Basilicata, 8 ottobre 2010, n. 761; T.A.R. Lombardia Brescia, sez. II, 4 novembre 2010, n. 4552)>>.

Del resto, il codice esprime in maniera del tutto precisa quali siano i casi in cui è possibile, per un verso, la conversione dell’azione, per un altro, la pronuncia d’ufficio, piuttosto che su domanda di parte.

Nel primo senso, l’art. 32, comma 2, c.p.a. consente la qualificazione dell’azione da parte del giudice in considerazione degli elementi sostanziali introdotti in giudizio e tra questi, come premesso, nulla si dice da parte ricorrente, anche in quanto semplice richiesta o rappresentazione indiretta, in ordine alla sussistenza di danni patrimoniali subiti. Sicché, a causa della richiamata insussistenza di alcun elemento sostanziale costitutivo di tal tipo di azione risarcitoria, non appare neanche possibile, secondo quanto previsto dal secondo inciso della norma appena richiamata, la conversione della domanda prospettata di risarcimento espressa in forma specifica in quella per equivalente, seppur quest’ultima astrattamente costituisca un "minus" rispetto alla prima e ne rappresenti <<il sostitutivo legale sussidiario mediante prestazione dell'"eadem res debita", per cui la relativa domanda è contenuta in quella della reintegrazione in forma specifica>> (cfr. Cassazione civile sez. III, 21 maggio 2004, n. 9709).

Stante la premessa, il riconoscimento della possibilità di una decisione sul danno con ristoro per equivalente determinerebbe una pronuncia d’ufficio sulla questione, circostanza, questa, interdetta dal chiaro tenore dell’art. 35 del c.p.a., a mente del quale è possibile accedere a dette decisioni esclusivamente nelle ipotesi ivi tipizzate, tutte ricadenti sul rito e non sul merito del ricorso.

Coerentemente, l’art. 34 c.p.a., al comma 1, stabilisce che <<in caso di accoglimento del ricorso il giudice, “nei limiti della domanda” . . . . c) condanna al pagamento di una somma di danaro, anche a titolo di risarcimento del danno, all’adozione delle misure idonee a tutelare la situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio e dispone misure di risarcimento in forma specifica ai sensi dell’art. 2058 del codice civile>>.
Sicché, impregiudicata ogni azione in separata sede, non è allo stato possibile, come premesso, pronunciarsi sul risarcimento del danno per equivalente.

Passaggio tratto dalla sentenza numero 1930 del 25 luglio 2012 pronunciata dal Tar Sicilia, Catania

accolto risarcimento specifico, con declaratoria dell’inefficacia del contratto e diritto al subingresso

La ricorrente ha chiesto, a titolo di risarcimento in forma specifica derivante dall’annullamento dell’aggiudicazione in favore della controinteressata, che venga dichiarata l’inefficacia del contratto a suo tempo stipulato con questa dall’Amministrazione resistente e che venga disposto l’affidamento, per il tempo residuo, l’appalto in suo favore.

La questione, intanto, in assenza di deduzioni delle parti in ordine alla sussistenza della violazioni c.d. “gravi” regolate dall’art. 121 c.p.a., va regolata secondo i criteri dalla successiva norma stabilita dall’art. 122 del medesimo codice.

La citata disposizione attribuisce innovativamente al giudice il potere di decidere se dichiarare oppure no inefficace il contratto, in base ad una serie di parametri che, seppure oggettivi, sono però da combinare in vario modo tra loro, in relazione alle specifiche e variabili caratteristiche della situazione di fatto di volta in volta in esame.

« Infatti, nel decidere sulla sorte del contratto in esito all’annullamento dell’aggiudicazione, nell’esercizio di una funzione imparziale e terza che deve però considerare la rilevanza pubblicistica degli interessi perseguiti attraverso il contratto, il giudice deve tenere conto, in particolare:
- degli interessi delle parti;
- dell’effettiva possibilità per il ricorrente di conseguire l’aggiudicazione alla luce dei vizi riscontrati;
- e, conseguentemente, dello stato di esecuzione del contratto e della correlata possibilità di subentrare nel contratto, sempreché il vizio dell’aggiudicazione non comporti invece il mero obbligo di rinnovare la gara, e la domanda di subentrare sia stata proposta» (cfr. TAR Catania, IV, 26.3.2012, n. 839).

Ciò posto, ritiene il Collegio che non vi siano ragioni, rispetto agli interessi complessivi delle parti, che impediscano il subentro della ricorrente nel rapporto in considerazione, posto che, a fronte di un contratto espletato da circa sedici mesi, ne residuano otto, oltre un ulteriore anno, ove si addivenga alla prevista possibilità di proroga.

Non è stato, inoltre, dedotto che sussista una qualche difficoltà operativa al subingresso, che, invero, trattandosi di un servizio di riscossione e vigilanza di un parcheggio non sembra prospettare difficoltà nella sua prosecuzione o richiedere accorgimenti tecnici o smobilitazioni di complessi cantieri.

Non sono, infine, dedotte in giudizio circostanze secondo le quali la ricorrente, seconda graduata, una volta annullata l’aggiudicazione a favore della controinteressata, non possa subentrare nel rapporto.

A ciò non può ostare quanto genericamente dedotto in sede di memoria di costituzione da parte della aggiudicataria, ove è stato sostenuto che sarebbero presenti nell’offerta della ricorrente omissioni analoghe a quelle censurate con il gravame.
Invero, le stesse non sono state censurate con ricorso incidentale, volto all’accertamento della conseguente, parziale o totale, mancanza di interesse al ricorso per vizi dell’offerta tali da non consentire comunque l’aggiudicazione da quest’ultima richiesta.
Sicché, conclusivamente, va accolta la domanda di risarcimento in forma specifica, con declaratoria dell’inefficacia del contratto e diritto al subingresso della ricorrente a partire dal quindicesimo giorno successivo alla notifica della presente decisione alle parti costituite, termine utile per consentire, in considerazione anche della struttura ospedaliera cui il servizio è rivolto, un suo passaggio “ordinato” e senza disservizi per l’utenza.

Passaggio tratto dalla sentenza numero 1930 del 25 luglio 2012 pronunciata dal Tar Sicilia, Catania

contratto dichiarato inefficace violazione del termine dello stand still processuale

La disposizione normativa, introdotta con il d.lgs. 53/2010 stabilisce che se è proposto ricorso avverso l’aggiudicazione definitiva con contestuale domanda cautelare, il contratto non può essere stipulato , dal momento della notfìcazione dell’istanza cautelare alla stazione appaltante e per i successivi venti giorni,

a condizione che entro tale termine intervenga almeno il provvedimento cautelare di primo grado o la pubblicazione del dispositivo della sentenza di primo grado in caso di decisione del merito all’udienza cautelare ovvero fino alla pronuncia di detti provvedimenti se successiva.

Tale disposizione risulta direttamente e ingiustfìcatamente violata dalla stazione appaltante, con la conseguenza che, ai sensi dell’art. 121 c.p.a., deve essere richiarata l’inefficacia del contratto.

Non può, invece, essere esaminata la domanda di aggiudicazione e di subentro nel contratto, atteso che, come già evidenziato, la presente sentenza ha, altresì accolto l’appello incidentale, con conseguente necessità per l’Amministrazione di rideterminarsi in ordine alla procedura di gara per cui è controversia.

Pertanto, alla luce delle predette argomentazioni, l’appello deve essere accolto per il motivo sopra indicato, così come l’appello incidentale di Controinteresssata 2 s.r.l., che censura la sentenza sulla base dei medesimi motivi dell’appellante principale e il contratto deve essere dichiarato inefficace..

Tratto dalla decisione numero 4061 del 10 luglio 2012 pronunciata dal Consiglio di Stato

quantificare la somma spettante a titolo risarcitorio è pari al 5% dell’offerta presentata

Ciò precisato e rilevato ancora che sul piano dell’an sussistono gli elementi costitutivi della fattispecie per ottenere il risarcimento del danno per equivalente

non essendo stato neppure contestato dall’appellata amministrazione comunale che per effetto del vizio che inficiava l’aggiudicazione la stessa sarebbe effettivamente spettata a Ricorrente Services Group s.r.l., né essendo stato in qualche modo postulata l’eventuale scusabilità dell’errore che aveva determinata la acclarata illegittimità dell’aggiudicazione, con riferimento alla determinazione del quantum la Sezione osserva che, sulla scorta della stessa domanda dell’appellante ed in mancanza di specifici elementi di prova, deve procedersi ad una valutazione equitativa del danno stessa, ai sensi degli artt. 1226 e 2056 C.C., stimandosi equo, anche in ragione dell’oggetto del servizio e della durata del contratto, di quantificare la somma spettante a titolo risarcitorio nella misura del 5% dell’offerta presentata della concorrente (per complessivi €. 14.189,68), comprensivo anche del richiesto danno curriculare.

Trattandosi di un debito di valore, la somma così determinata, deve essere incrementata con la rivalutazione monetaria dal giorno in cui è stato stipulato il contratto con l’impresa illegittima aggiudicataria sino alla pubblicazione della presente sentenza, giorno a decorrere dal quale sull’importo così rivalutato spettano gli interessi legali fino alla data dell’effettivo soddisfo (C.d.S., sez. V, 26 gennaio 2011, n. 550; sez. VI, 21 maggio 2009, n. 3144).

Essendo stata accolta la domanda di risarcimento del danno per equivalente e spettando all’appellante gli interessi legali sulla somma rivalutata dalla pubblicazione della presente sentenza sino all’effettivo soddisfo non può trovare accoglimento l’ulteriore richiesta di condanna al pagamento di una somma di danaro per il caso di ulteriore violazione o inosservanza o ritardo nell’esecuzione del giudicato, ex art. 114, comma 4, lett. e), c.p.a.

tratto dalla decisione numero 4068 del 10 luglio 2012 pronunciata dal Consiglio di stato

trova ingresso tutela risarcitoria equivalente (quella specifica, divenuta impossibile)

Alla delineata ammissibilità della domanda di aggiudicazione del contratto e di subentro dello stesso non può tuttavia conseguire, nel caso in esame, anche il suo accoglimento.

Infatti, non solo l’inefficacia del contratto non costituisce più una conseguenza automatica dell’annullamento dell’aggiudicazione, essendo piuttosto l’effetto dell’apprezzamento di una pluralità di elementi di fatto delineati ora dagli articoli 121 e 122 del codice del processo amministrativo (parametri normativi che “…devono trovare applicazione anche in relazione a contratti stipulati sulla base di aggiudicazioni annullate in epoca anteriore all’entrata in vigore del decreto legislativo n. 53/2010…

Infatti, le norme, avendo prevalente contenuto processuale, trovano applicazione ai nei giudizi in corso”, così C.d.S., sez. III, 11 marzo 2011, n. 1570), per quanto nel caso di specie, com’è del resto pacifico tra le parti, il contratto biennale del servizio di pulizia del Palazzo di giustizia di Crotone e degli uffici giudiziari periferici si è definitivamente esaurito nelle more del giudizio (12 giugno 2011).

5.3. A tanto tuttavia, pena la manifesta violazione del principio di effettività della tutela (art. 1 c.p.a.) oltre che dei principi predicati dagli articoli 24, 111 e 113 della Costituzione, non può conseguire il diniego di qualsiasi utilità per Ricorrente Services Group s.r.l. che pure ha ottenuto l’annullamento dell’aggiudicazione di quell’appalto, dovendo trovare ingresso la tutela risarcitoria per equivalente (in luogo di quella specifica, divenuta impossibile).

E’ appena il caso di rilevare, sotto tale profilo, che non solo la società appellante ha in tal senso articolato domanda subordinata nella memoria conclusiva depositata il 22 febbraio 2012, per quanto simile istanza subordinata non costituisce neppure una inammissibile introduzione di domanda nuova o di altrettanto inammissibile mutatio libelli, atteso che “l’attribuzione al danneggiato del risarcimento per equivalente non viola il principio della corrispondenza tra chiesto ed il pronunciato, in quanto il risarcimento per equivalente, che il giudice di merito può disporre anche d’ufficio, nell’esercizio del suo potere discrezionale, costituisce un minus rispetto alla reintegrazione in forma specifica, sicché la relativa richiesta è implicita nella domanda giudiziale di reintegrazione” (Cass. Civ., sez. III, 15 luglio 2005, n. 15021; 18 gennaio 2002, n. 552).

tratto dalla decisione numero 4068 del 10 luglio 2012 pronunciata dal Consiglio di stato

vige onere impresa richiedere inefficacia del contratto e di subentro nello stesso

Occorre innanzitutto rilevare che, così come emerge dagli atti di causa, il giudizio conclusosi con la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, sez. II, n. 311 dell’8 marzo 2010 (che ha annullato l’aggiudicazione dell’appalto del servizio biennale di pulizia del Palazzo di giustizia di Crotone e degli uffici periferici alla Cooperativa Controinteressata) si è interamente svolto prima dell’entrata in vigore del D. Lgs. 20 marzo 2010, n. 53 (avvenuta il 27 aprile 2010).

La giurisprudenza di questo Consesso ha già avuto modo di precisare che solo nei giudizi introdotti dopo la entrata in vigore del predetto D. Lgs. 20 marzo 2010, n. 53, può ravvisarsi sussistente un onere per l’impresa ricorrente di chiedere in sede di impugnazione dell’atto di aggiudicazione anche la pronunzia di inefficacia del contratto e di subentro nello stesso,

laddove in tutti gli altri casi in cui l’azione di annullamento è stata introdotta precedentemente resta fermo il potere del giudice di accertare in sede di ottemperanza la inefficacia del contratto, tenendo conto della effettiva possibilità per il ricorrente di conseguire l’aggiudicazione e di subentrare nel contratto (C.d.S., sez. III, 11 marzo 2011, n. 1570; 17 ottobre 2011, n. 5545).

E’ stato in tali sentenze puntualmente sottolineato che “…la omissione, da parte dell’istante, di una richiesta di pronunzia di inefficacia del contratto e di richiesta di subentro, risultava coerente con l’orientamento interpretativo all’epoca dominante, formulato dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite della Cassazione, secondo cui la cognizione, in via principale, sulla sorte del contratto spettava al giudice ordinario”, con la conseguenza “…che solo in sede di ottemperanza al giudice amministrativo poteva riconoscersi il potere di cognizione, in via incidentale, della sorte del contratto, allo scopo di individuare le misure attuative del giudicato di annullamento della aggiudicazione, ritenute più opportune per la realizzazione dell’interesse del ricorrente”; è stato altresì aggiunto (C.d.S., sez. III, 17 ottobre 2011, n. 5545) che “…sebbene la nuova disciplina introdotta dal decreto legislativo n. 53/2010 e poi trasfusa nell’articolo 122 del codice del processo amministrativo è caratterizzata da una maggiore semplificazione e concentrazione delle tutele imposta dalla normativa comunitaria di cui alla direttiva n. 66/2007/CE, con l’effetto che ora spetta al giudice che annulla l’aggiudicazione il potere di pronunciarsi in ordine alla inefficacia del contratto, è evidente che tale nuova regola, sulla base del principio tempus regit actum, non può trovare applicazione nei giudizi introdotti prima della entrata in vigore del decreto legislativo n. 53 del 2010, in ordine ai quali resta fermo il potere del giudice di accertare, in sede di ottemperanza, l’inefficacia del contratto”.

Sulla scorta di tali condivisibili principi, diversamente da quanto ritenuto dai primi giudici ed eccepito anche in questo grado di appello dall’amministrazione comunale di Crotone, deve considerarsi ammissibile la domanda proposta da Ricorrente Services Group s.r.l. di conseguire l’aggiudicazione del contratto ed il subentro dello stesso, configurandosi essa quale richiesta di risarcimento in forma specifica (ex art. 124 c.p.a.), proponibile nel processo di ottemperanza, in quanto diretta a definire una delle possibili modalità di attuazione del giudicato (anche allorché alcuna espressa domanda in tal senso sia stata avanzata nel giudizio di cognizione, così C.d.S., Sez. III, 19 dicembre 2011, n. 6638, in una controversia sostanzialmente analoga a quella in esame).


tratto dalla decisione numero 4068 del 10 luglio 2012 pronunciata dal Consiglio di stato

venerdì 27 luglio 2012

e' legittimo richiedere firma digitale autenticata alla luce del principio di proporzionalità

L’autenticazione della firma digitale era invece prescritta per le istanze dirette alla p.a. per via telematica nei pubblici appalti, e dunque per la domanda di partecipazione e per l’offerta, come si desume dall’art. 38, co. 3, d.P.R. n. 445/2000, che rinvia al regolamento di cui all’art. 15, co. 2, l. n. 59/1997, regolamento oggi sostituito, in parte qua, dall’art. 25, d.lgs. n. 82/2005.

Tuttavia, rispetto all’art. 38, d.P.R. n. 445/2000, il codice appalti si pone come legge successiva e specifica, e tale codice:
a) quanto alle offerte trasmesse per via telematica, richiede soltanto la firma digitale, non anche la firma digitale autenticata (art. 77, co. 6, lett. b), codice appalti);
b) quanto alle cauzioni, non si occupa di sottoscrizione e sua autenticazione.
D’altro canto, il d.lgs. n. 82/2005, nell’occuparsi di firma elettronica, firma digitale, firma elettronica autenticata, ne indica le caratteristiche tecniche, ma non anche i presupposti di utilizzo.
Si deve allora pervenire ad una prima conclusione, ed è che in base alle norme primarie, per le istanze e dichiarazioni rese nelle gare di appalto, è sufficiente la firma digitale, non occorrendo anche la firma digitale autenticata.

Si pone allora l’ulteriore questione se la prescrizione imposta autonomamente dal bando, rispetto alla legge, della firma digitale autenticata, sia o meno legittima alla luce del principio di proporzionalità.

Sulla scorta della normativa applicabile al caso di specie ratione temporis, svoltosi prima dell’entrata in vigore del d.l. n. 70/2011 che ha introdotto il principio di tassatività normativa delle cause di esclusione dalle gare di appalto (art. 4, co. 1, lett. n), d.l. n. 70/2011 e art. 46, co 1-bis, codice appalti, come novellato dall’art. 4, co. 2, d.l. n. 70/2011), si deve ritenere che le cause di esclusione dalle gare di appalto non sono collegabili solo all’inosservanza di prescrizioni direttamente previste dalla legge o dal regolamento.

Infatti l’art. 74, co. 5, codice appalti, dispone che le stazioni appaltanti, oltre agli elementi essenziali di cui all’art. 74, co. 2, richiedono anche gli altri elementi e documenti necessari o utili, nel rispetto del principio di proporzionalità in relazione all’oggetto del contratto e alle finalità dell’offerta.

Si tratta allora di stabilire se la prescrizione dell’autenticazione sia o meno proporzionata.

Lo scopo dell’autenticazione della firma digitale è di conferire alla sottoscrizione digitale della scrittura privata il valore giuridico di sottoscrizione legalmente considerata come riconosciuta, valore giuridico che per legge è attribuito alla sottoscrizione autenticata (artt. 2702 e 2703 c.c.).

Tanto, al fine della piena prova, fino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi ha sottoscritto la scrittura privata, piena prova che si ha se colui contro cui è prodotta la scrittura privata ne riconosce la sottoscrizione o se la sottoscrizione è legalmente considerata come riconosciuta (art. 2702 c.c.).
E, invero, ai sensi dell’art. 25, co. 1, d.lgs. n. 82/2005, si ha per riconosciuta, ai sensi dell'articolo 2703 del codice civile, la firma elettronica o qualsiasi altro tipo di firma avanzata autenticata dal notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato.
L’autenticazione della sottoscrizione attribuisce certezza alla provenienza della dichiarazione e ne impedisce il disconoscimento da parte del suo autore.

Avuto riguardo allo scopo dell’autenticazione della firma, ad avviso del Collegio è proporzionato richiedere, in una gara di appalto, la piena prova della provenienza della cauzione da parte del sottoscrittore, e dunque l’autenticazione della firma, perché la cauzione è azionabile a prima richiesta da parte della stazione appaltante, sicché questa ha interesse a non vedersi opporre il disconoscimento della sottoscrizione.

La previsione del requisito dell’autentica della sottoscrizione della cauzione, da parte della lex specialis di gara, non viola, pertanto, il principio di proporzionalità recato dall’art. 74, co. 5, codice appalti.

Questo Consesso si è già pronunciato nei medesimi termini in analoga vicenda, relativa a prescrizione del bando di gara di pubblico appalto che prevedeva l’autentica notarile della sottoscrizione della fideiussione, statuendo che costituisce interesse pubblico l’esatta individuazione del soggetto che presta la garanzia a corredo dell’offerta; sul piano dei rapporti di diritto privato, solo l’autenticazione della sottoscrizione della fideiussione prestata garantisce pienamente l’amministrazione perché determina la piena prova in ordine alla provenienza da chi l’ha sottoscritta, ai sensi degli artt. 2702 e 2703 c.c., impedendo il successivo disconoscimento della stessa [Cons. St., sez. III, 19 aprile 2011 n. 2387].

Sempre secondo l’appena citato precedente, la clausola del disciplinare che richieda l’autentica della sottoscrizione del soggetto rilasciante la polizza fideiussoria non può in alcun modo ritenersi un mero aggravamento procedimentale ma deve ritenersi legittima perché finalizzata alla tutela dell'interesse pubblico alla certezza sulla provenienza della garanzia.

Tratto dalla decisione numero 3365 del 2011 pronunciata dal Consiglio di Stato

la dichiarazione del garante, non è né una istanza, né una dichiarazione sostitutiva di atto notorio

E’ infondato il terzo motivo di appello si ribadisce la censura di illegittimità del bando e del capitolato, che prevedono un requisito, l’autentica di firma, non previsto dall’art. 75 codice appalti, così aggravando il procedimento in modo irragionevole. L’autentica sarebbe irragionevolmente prescritta solo per la polizza assicurativa e non anche per la fideiussione rilasciata da banca o altro intermediario finanziario autorizzato.

Giova anzitutto rilevare che dalla lettura del bando e del capitolato si evince con chiarezza che l’autenticazione della firma digitale è richiesto per qualsivoglia tipo di cauzione provvisoria, sia essa fideiussione bancaria o polizza assicurativa.
Non vi è pertanto la lamentata irragionevole disparità di trattamento tra i diversi tipi di cauzione.

Quanto poi al dedotto contrasto della legge di gara con l’art. 75 codice appalti, lo stesso, ad avviso del Collegio, non sussiste.

E’ vero che l’art. 75, codice appalti, non prescrive, formalmente, l’autenticazione della sottoscrizione apposta alla cauzione.

Ma, a ben vedere, l’art. 75 nemmeno si occupa della sottoscrizione della cauzione.

E’ evidente che la disciplina trova necessario completamento nella disciplina apprestata dall’ordinamento in ordine alla sottoscrizione di atti e dichiarazioni diretti ad una pubblica amministrazione.

Ai sensi dell’art. 38, co. 2 e 3, d.P.R. n. 445/2000, nel testo vigente ratione temporis:
“2. Le istanze e le dichiarazioni inviate per via telematica sono valide:
a) se sottoscritte mediante la firma digitale, basata su di un certificato qualificato, rilasciato da un certificatore accreditato, e generata mediante un dispositivo per la creazione di una firma sicura;
b) ovvero quando l'autore è identificato dal sistema informatico con l'uso della carta d'identità elettronica o della carta nazionale dei servizi.
3. Le istanze e le dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà da produrre agli organi della amministrazione pubblica o ai gestori o esercenti di pubblici servizi sono sottoscritte dall'interessato in presenza del dipendente addetto ovvero sottoscritte e presentate unitamente a copia fotostatica non autenticata di un documento di identità del sottoscrittore. La copia fotostatica del documento è inserita nel fascicolo. Le istanze e la copia fotostatica del documento di identità possono essere inviate per via telematica; nei procedimenti di aggiudicazione di contratti pubblici, detta facoltà è consentita nei limiti stabiliti dal regolamento di cui all'articolo 15, comma 2 della legge 15 marzo 1997, n. 59 (oggi art. 25, d.lgs. n. 82/2005)”.

Mentre il co. 2 si occupa di istanze e dichiarazioni inviate per via telematica, il co. 2 si occupa di istanze e dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà da produrre alla p.a. nelle gare di appalto.
Nel caso di specie, la dichiarazione del garante, non è né una istanza, né una dichiarazione sostitutiva di atto notorio.

Va ascritta al genus delle “dichiarazioni” che sono valide, se inviate per via telematica, se sottoscritte mediante firma digitale (art. 38, co. 2, d.P.R. n. 445/2000, nel testo vigente ratione temporis, nonché, attualmente, art. 65, co. 1, lett. a), d.lgs. n. 82/2005).

Non si richiede, invece, anche che la firma digitale sia autenticata.

Tratto dalla decisione numero 3365 del 2011 pronunciata dal Consiglio di Stato

non è consentita la produzione di documenti dopo la scadenza dei termini di documenti essenziali

Ai sensi dell’art. 46, codice appalti, la stazione appaltante invita i concorrenti a completare o a fornire chiarimenti in ordine al contenuto di certificati, documenti e dichiarazioni.


La norma contempla il c.d. potere di soccorso della stazione appaltante, che si articola in una duplice possibilità che può essere accordata ai concorrenti:
- il completamento della documentazione;
- il chiarimento in ordine al contenuto della documentazione già presentata.

La norma è considerata di stretta interpretazione quanto all’ambito dell’integrazione documentale, in quanto, pur essendo essa ispirata al principio della massima partecipazione, tale principio va coordinato con quello di par condicio tra i concorrenti e con le esigenze di celerità dell’azione amministrativa.

Pertanto non è consentita la produzione, dopo la scadenza dei termini fissati dal bando, di documenti essenziali, richiesti a pena di esclusione: la stazione appaltante non può formulare una richiesta di integrazione documentale, qualora si tratti di documenti univocamente previsti dal bando o dalla lettera d’invito a pena di esclusione [Cons. St., sez. III, 19 aprile 2011 n. 2387; Cons. St., sez. V, 2 agosto 2010 n. 5084; Cons. St., sez. V, 16 luglio 2007 n. 4027; Cons. St., sez. IV, 10 maggio 2007 n. 2254; Cons. St., sez. V, 30 maggio 2006 n. 3280].

Tratto dalla decisione numero 3365 del 2011 pronunciata dal Consiglio di Stato

l’autenticazione della firma digitale della cauzione provvisoria non è pervenuta entro il termine perentorio

Come ha correttamente rilevato il Tar, dalla legge di gara, e segnatamente dal punto 8 del disciplinare, che elenca le cause di esclusione, si evince che è causa di esclusione l’ipotesi di “cauzione provvisoria non presentata con le modalità di cui all’articolo 2 punto 5 del presente disciplinare, ed in particolare non autenticata con firma digitale da Notaio o da Pubblico Ufficiale”.

Ora, se è vero, in astratto, che nel caso di specie la cauzione recava firma digitale autenticata, è anche vero che, in concreto, l’autenticazione della firma digitale non è pervenuta alla stazione appaltante entro il termine perentorio per la presentazione della domanda di partecipazione e dell’offerta.

Ai fini della gara, rileva pertanto che agli atti di gara vi era una firma digitale non autenticata, che integra la citata causa di esclusione, restando irrilevante il fatto storico che la firma era stata autenticata e l’autentica non trasmessa.


Tratto dalla decisione numero 3365 del 2011 pronunciata dal Consiglio di Stato

l’autentica notarile della firma (del garante della fideiussione provvisoria) non può essere considerata una prescrizione ingiustificatamente aggravante il procedimento de qua, in ragione alla finalità cui la stessa è connessa.

l’autentica notarile della firma (del garante della fideiussione provvisoria)  non può essere considerata una prescrizione ingiustificatamente aggravante il procedimento de qua, in ragione alla finalità cui la stessa è connessa.


Tale prescrizione, invero, consente l’acquisizione da parte della stazione appaltante delle certezza circa l’identità della persona che ha sottoscritto l’atto - in specie la cauzione provvisoria e l’impegno stipularne una definitiva in caso di aggiudicazione - conferendole il crisma della legale autenticità.

Questo elemento, lungi dal rappresentare un vuoto formalismo, è diretto a comprovare, oltre alle generalità del dichiarante, l'imprescindibile nesso di imputabilità soggettiva della dichiarazione a una determinata persona fisica.

la parte ricorrente non ha dimostrato che l’apposizione di autentica notarile costituisse adempimento particolarmente gravoso, tanto da impedire la partecipazione alla gara, avendo affermato la medesima parte di avere omesso l’invio dell’autentica alla firma digitale per un mero errore tecnico.


In via gradata, la ricorrente, con il terzo motivo di ricorso, ha censurato la clausola della lex di gara che ha imposto alle partecipanti la formalità dell’autentica della firma digitale, che avrebbe imposto un ingiustificato aggravamento degli oneri incombenti al privato che partecipa al procedimento concorsuale, in assenza di un apprezzabile interesse pubblico.
Viene in rilievo l’art. 74, comma 5, del decreto legislativo n. 163 del 2006, che nel prevedere il principio di proporzionalità nel confezionamento delle regole di gara, stabilisce espressamente che la stazione appaltante può richiedere oltre agli elementi essenziali di cui al comma 2, “gli altri elementi e documenti necessari o utili, nel rispetto del principio di proporzionalità in relazione all’oggetto del contratto e alle finalità dell’offerta.”
L’Amministrazione procedente non può senz’altro aggravare la partecipazione dei concorrenti alla selezione, a meno che non motivi espressamente e specificamente circa le ragioni che impongono alle concorrenti la produzione di documenti contenenti anche altri elementi oltre a quelli essenziali che, per il caso delle garanzie a corredo dell’offerta sono enucleati nel successivo art. 75.
Qual è il parere dell’adito giudice amministrativo?

Una corretta interpretazione della norma in esame, anche alla stregua dei principi comunitari di trasparenza e massima partecipazione alle procedure volte all’affidamento di commesse pubbliche, fa ritenere che l’esclusione dalla selezione può però essere legittimamente prevista dall’Amministrazione procedente nella lex specialis di gara, oltre alle ipotesi che il Codice dei contratti pubblici individua come insuperabili prescrizioni imposte ai concorrenti nella dimostrazione del possesso dei requisiti di partecipazione, anche quando la prescrizione “speciale” ad excludendum sia proporzionalmente necessitata dall’oggetto del contratto da stipularsi ovvero da particolari modalità di esecuzione del lavoro, servizio o fornitura da effettuarsi, che giustifichino un aggravamento partecipativo.
Sulla base di tale premessa, ritiene il Collegio che l’autentica notarile della firma non può essere considerata una prescrizione ingiustificatamente aggravante il procedimento de qua, in ragione alla finalità cui la stessa è connessa.
Tale prescrizione, invero, consente l’acquisizione da parte della stazione appaltante delle certezza circa l’identità della persona che ha sottoscritto l’atto - in specie la cauzione provvisoria e l’impegno stipularne una definitiva in caso di aggiudicazione - conferendole il crisma della legale autenticità. Questo elemento, lungi dal rappresentare un vuoto formalismo, è diretto a comprovare, oltre alle generalità del dichiarante, l'imprescindibile nesso di imputabilità soggettiva della dichiarazione a una determinata persona fisica.
Bisogna, altresì, considerare che la polizza fideiussoria non ha la consistenza di una mera dichiarazione di scienza, ma di una dichiarazione di volontà, di effetto costitutivo, con la quale il fidejussore si obbliga a pagare al creditore garantito (in questo caso, la stazione appaltante), qualora se ne verifichino i presupposti, una somma di denaro determinata.
Pertanto, in considerazione del fatto che la prescrizione omessa è relativa alla polizza fideiussoria che non è un semplice documento, ma piuttosto uno strumento contrattuale, la stessa è destinata ad assolvere un preminente interesse pubblico, cui recede senz’altro quello del partecipante alla gara di vedersi ridotte al minimo indispensabile le formalità necessarie per la partecipazione alla gara.
Da ultimo, osserva il Collegio che la parte ricorrente non ha dimostrato che l’apposizione di autentica notarile costituisse adempimento particolarmente gravoso, tanto da impedire la partecipazione alla gara, avendo affermato la medesima parte di avere omesso l’invio dell’autentica alla firma digitale per un mero errore tecnico.

A cura di Sonia Lazzini

sentenza numero 22062 dell’1 luglio 2010 pronunciata dal Tar Lazio, Roma

è pacifico, perché ammesso dalla stessa ricorrente, che la firma digitale apposta sulla polizza relativa alla cauzione provvisoria di cui al punto 9) del bando di gara è stata trasmessa sprovvista dell’annessa autentica.

è pacifico, perché ammesso dalla stessa ricorrente, che la firma digitale apposta sulla polizza relativa alla cauzione provvisoria di cui al punto 9) del bando di gara è stata trasmessa sprovvista dell’annessa autentica.

Viene, all’evidenza, come sia erroneo il presupposto – l’autentica non è richiesta a pena di esclusione – da cui la ricorrente fa discendere le proprie argomentazioni difensive per evidenziare il comportamento illegittimo della Commissione di gara che, invece, ha doverosamente disposto l’esclusione in presenza di una espressa comminatoria in tal senso nella lex specialis, quale diretta conseguenza del mancato rispetto di puntuale ed inequivoca prescrizione.

i formalismi richiesti espressamente e tassativamente dalle prescrizioni di gara costituiscono lo strumento tipico con il quale si rende trasparente, tramite procedimentalizzazione, la discrezionalità amministrativa e si pongono tutti i concorrenti sullo stesso piano partecipativo, richiedendo loro un eguale impegno di diligenza, attenzione e rispetto verso le clausole dei bandi e dei capitolati.

Non occorre, allora, interrogarsi sulla ratio della clausola, come affermato dalla parte ricorrente, che richiede l’autentica della firma digitale apposta sulla polizza fideiussoria, ovvero se essa abbia una valenza sostanziale o solo formale, in quanto, in presenza di una espressa comminatoria di esclusione della domanda di partecipazione alla gara, in conseguenza del mancato rispetto della sopra indicata prescrizione, non è consentito al giudice amministrativo di sovrapporre le proprie valutazioni a quelle dell'amministrazione, dato che il cd. criterio teleologico ha un valore esclusivamente suppletivo rispetto a quello formale, nel senso che può essere utilizzato solo nel caso in cui una determinata formalità non sia prevista espressamente a pena di esclusione



La società Appalti Ricorrente S.r.l. impugna il provvedimento con cui la società Aeroporti di Roma ha disposto la sua esclusione dalla gara indetta per l’esecuzione dei lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria di natura civile degli edifici e delle infrastrutture aeroportuali siti nell’aeroporto “Leonardo da Vinci” di Fiumicino – Lotto A, avendo la Commissione di gara riscontrato la mancanza dell’autenticazione notarile della firma digitale apposta sulla polizza fideiussoria relativa alla cauzione provvisoria contenente l’impegno al rilascio della cauzione definitiva.
Si è, pertanto, affidata ai seguenti profili di illegittimità:
1) Violazione e falsa applicazione del punto 9) del bando e 5) del disciplinare di gara; violazione e falsa applicazione dell’art. 97, Cost., e falsa applicazione dell’art. 75 del d.lgs. 163/2006; violazione del principio generale di massima partecipazione ai procedimenti di gara e del principio di non aggravamento del procedimento amministrativo; eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche ed in particolare per erroneità, travisamento dei fatti, sviamento, contraddittorietà, illogicità, irrazionalità, irragionevolezza ed ingiustizia manifesta dell’azione amministrativa, difetto di istruttoria e di motivazione, violazione dei principi di proporzionalità, di massima partecipazione alle gare, di buon andamento ed economicità dell’azione amministrativa; illogicità manifesta; difetto di istruttoria.
2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 97, Cost., del principio generale di buon andamento della pubblica amministrazione; dell’art. 6, lett. b), della legge n. 241/1990 e del principio di non aggravamento dei procedimenti amministrativi; dell’art. 46, d.lgs. n. 163/2006; eccesso di potere per erroneità dei presupposti, irragionevolezza ed illogicità, violazione dei criteri di stretta interpretazione delle clausole di esclusione dalle gare e del principio di parità di trattamento.
3) Violazione e falsa applicazione dell’art. 75 del d.lgs. 163/2006; eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche ed in particolare per erroneità e travisamento dei fatti, sviamento, contraddittorietà, illogicità, irrazionalità, irragionevolezza ed ingiustizia manifesta dell’azione amministrativa, violazione dei principi di proporzionalità, di non aggravamento del procedimento amministrativo, con riferimento al punto 9) del bando di gara e al paragrafo 2, punto 5) del disciplinare limitatamente alla parte in cui richiede l’autenticazione della firma digitale apposta sulla certificazione di cauzione provvisoria e sulla dichiarazione d’impegno a rilasciare la cauzione definitiva.
Con motivi aggiunti depositati in data 28 ottobre 2009, la ricorrente ha impugnato, altresì, la comunicazione formale in data 16 ottobre 2009 di esclusione dalla gara, estendendo anche avverso il detto atto adottato in pendenza di giudizio i motivi già dedotti con l’atto introduttivo.
Conclude la ricorrente chiedendo, in accoglimento degli esposti mezzi di censura l’annullamento della disposta esclusione, e la condanna dalla stazione appaltante alla reintegrazione in forma specifica, mediante l’aggiudicazione dei lavori, ovvero, in subordine, la condanna al risarcimento del danno per equivalente, nella misura risultante dal danno emergente (spese sostenute) e dal mancato utile, tenuto conto che, ove non esclusa illegittimamente dalla gara, sarebbe risultata aggiudicataria, avendo offerto un ribasso del 42,444%.
Si è costituita in giudizio la società Aeroporti di Roma S.p.a. per resistere al ricorso di cui ha eccepito l’infondatezza.
Si è costituita, altresì, la società CONTROINTERESSATA Appalti S.r.l., aggiudicataria della gara in controversia, che ha eccepito l’inammissibilità dei motivi aggiunti, con conseguente inammissibilità del ricorso introduttivo, in quanto notificati alla controinteressata presso la sede della società e non alla medesima parte presso l’avvocato costituito con atto depositato in data 22 ottobre 2009, ritenendo non sanabile la eccepita erroneità dalla costituzione in giudizio, che, in parte qua, è limitata alla proposizione di specifica eccezione sul punto; nel merito dei motivi di ricorso, ne ha eccepito, comunque, l’infondatezza.
Con ordinanza n. 5310/09 del 12 novembre 2009 l’adito Tribunale ha respinto l’istanza cautelare, incidentalmente presentata, alla stregua della seguente motivazione: “CONSIDERATO che il contratto relativo all’affidamento dell’appalto in controversia è stato stipulato in data 5 novembre u.s.; CONSIDERATO, comunque, che alla sommaria delibazione propria della fase cautelare, non appare illegittima l’impugnata esclusione sulla base di chiara ed inequivocabile norma della lex specialis (p. 9 del bando di gara, e p. 8 del disciplinare di gara) essendo pacifico, in punto di fatto, che la cauzione provvisoria allegata all’offerta di parte ricorrente era priva della autentica con firma digitale del Notaio;”.
Il Consiglio di Stato, Sesta Sezione, con ordinanza n. 6210/2009 del 15 dicembre 2009, ha ritenuto di trasmettere al giudice di primo grado la causa per la fissazione dell’udienza di merito, senza peraltro, motivare in merito.
Quindi, tutte le parti costituite hanno depositato scritti difensivi conclusivi, e alla pubblica udienza del 25 febbraio 2010 il Collegio ha trattenuto la causa a sentenza.
Qual è il parere dell’adito giudice amministrativo?

Oggetto del ricorso in esame è la gara per via telematica indetta, ai sensi degli artt. 77 e 253, comma 12, del d.lgs. 163 del 2006, dalla società Aeroporti di Roma per l’affidamento dei lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria di natura civile degli edifici e delle infrastrutture aeroportuali siti nell’aeroporto “Leonardo da Vinci” di Fiumicino – Lotto A.
Lamenta la ricorrente società Appalti Ricorrente S.r.l. l’illegittimità dell’esclusione dalla gara de qua: “in quanto la cauzione provvisoria e la dichiarazione di impegno a rilasciare la cauzione definitiva prodotte non sono autenticate digitalmente”.
Ritiene il Collegio di poter prescindere dall’esame dell’eccezione di inammissibilità dei motivi aggiunti e, a cascata, del ricorso introduttivo, sollevata dalla difesa della società controinteressata CONTROINTERESSATA Appalti S.r.l., attesa la palese infondatezza del ricorso.
In ogni caso, è d’uopo osservare come le regole procedurali anche in tema di notificazione debbano essere pur sempre interpretate ed applicate alla luce del principio generale di cui all'art. 160 c.p.c., il quale, ferma restando la sacralità che in generale deve contraddistinguere gli atti del giudizio, impone al giudice di seguire un criterio esegetico sostanziale in tema di sanabilità degli atti processuali nulli; poiché, nel caso di specie, con i motivi aggiunti non sono stati dedotti nuovi profili di illegittimità, essendosi limitata la ricorrente ad impugnare l’atto formale di esclusione, estendendo anche a quest’ultimo atto intervenuto in corso di causa, per l’effetto, le già spiegate censure, ne discende che ogni eventuale invalidità deve ritenersi sanata per effetto della costituzione in giudizio della società controinteressata e dello svolgimento di attività difensiva da parte di quest’ultima.
Tanto precisato in via pregiudiziale, e passando ad esaminare il merito delle censure, con il primo motivo lamenta la ricorrente l’illegittimità dell’esclusione comminata dal seggio di gara, assumendo che la formalità mancante – autenticazione della firma digitale della polizza fidejussoria – non avrebbe valore sostanziale, ma meramente formale, non attenendo al contenuto del documento, ma solo alla garanzia della sua provenienza, e dunque la stessa mancanza sarebbe inidonea di per sé, in assenza di esplicita previsione della disciplina di gara, a determinare l’effetto espulsivo, in ossequio al principio del favor partecipationis, e tenuto anche conto della desumibilità aliunde dell’effettiva apposizione dell’autentica, come ricavabile da altri documenti trasmessi al portale della stazione committente, quale il “visto per l’autentica della firma” dell’agente assicurativo.
Il motivo non ha pregio.
Intanto, in punto di fatto, è pacifico, perché ammesso dalla stessa ricorrente, che la firma digitale apposta sulla polizza relativa alla cauzione provvisoria di cui al punto 9) del bando di gara è stata trasmessa sprovvista dell’annessa autentica.
Il punto 9), ora richiamato, del bando di gara per procedura aperta gestita interamente in via telematica, intitolato “Cauzioni e garanzie richieste”, dispone, a proposito della cauzione provvisoria, che l’offerta dei concorrenti “deve essere corredata, a pena di esclusione, in sede di partecipazione alla gara, di una cauzione provvisoria di Euro 99.100,00, con firma digitale autenticata, e di durata pari ad almeno 180 giorni decorrenti dalla data di presentazione dell’offerta. Dovrà, inoltre, essere contestualmente prodotta, a pena di esclusione, una dichiarazione di un istituto bancario o di un intermediario finanziario o di una compagnia di assicurazione, con firma digitale autenticata, contenente l’impegno a rilasciare, in caso di aggiudicazione dell’appalto da parte dell’offerente, la garanzia fideiussoria definitiva di cui all’art. 113 del d.lgs. 163/2006; tale ultima dichiarazione potrà essere prodotta in unico documento con la cauzione provvisoria .”
Per i fini di rilievo nella controversia è utile riportare, altresì, quanto previsto con il disciplinare di gara, dove, al punto 2.5) é ribadito quanto richiesto dal punto 9) del bando di gara a proposito della cauzione, compresa la prescrizione della autentica con firma digitale da Notaio o da Pubblico Ufficiale, ed, al punto 8), tra i motivi di esclusione, è indicata la “cauzione provvisoria non presentata con le modalità di cui all’art. 2, punto 5 del presente disciplinare, ed in particolare non autenticata con firma digitale dal Notaio o da Pubblico Ufficiale”.
La chiarezza e non equivocità di tali disposizioni, anche ad una più meditata lettura, induce il Collegio a confermare quanto già affermato sul punto in sede cautelare con l’ordinanza n. n. 5310/09 sopra richiamata.
Viene, all’evidenza, come sia erroneo il presupposto – l’autentica non è richiesta a pena di esclusione – da cui la ricorrente fa discendere le proprie argomentazioni difensive per evidenziare il comportamento illegittimo della Commissione di gara che, invece, ha doverosamente disposto l’esclusione in presenza di una espressa comminatoria in tal senso nella lex specialis, quale diretta conseguenza del mancato rispetto di puntuale ed inequivoca prescrizione.
Sul punto, ritiene il Collegio che il provvedimento di espulsione da una gara d'appalto costituisce atto vincolato rispetto alla clausola del disciplinare di gara che indica le modalità di presentazione dei documenti a pena di esclusione, in quanto in sede di aggiudicazione di contratti con la Pubblica amministrazione, la stazione appaltante è tenuta ad applicare in modo rigoroso ed incondizionato le clausole inserite nella lex specialis relative ai requisiti, formali e sostanziali, di partecipazione ovvero alle cause di esclusione, in quanto il formalismo che caratterizza la disciplina delle procedure di gara, risponde, per un verso, ad esigenze pratiche di certezza e celerità e, per altro verso, alla necessità di garantire l'imparzialità dell'azione amministrativa e la parità di condizioni tra i ricorrenti.
In altri termini, i formalismi richiesti espressamente e tassativamente dalle prescrizioni di gara costituiscono lo strumento tipico con il quale si rende trasparente, tramite procedimentalizzazione, la discrezionalità amministrativa e si pongono tutti i concorrenti sullo stesso piano partecipativo, richiedendo loro un eguale impegno di diligenza, attenzione e rispetto verso le clausole dei bandi e dei capitolati.
Non occorre, allora, interrogarsi sulla ratio della clausola, come affermato dalla parte ricorrente, che richiede l’autentica della firma digitale apposta sulla polizza fideiussoria, ovvero se essa abbia una valenza sostanziale o solo formale, in quanto, in presenza di una espressa comminatoria di esclusione della domanda di partecipazione alla gara, in conseguenza del mancato rispetto della sopra indicata prescrizione, non è consentito al giudice amministrativo di sovrapporre le proprie valutazioni a quelle dell'amministrazione, dato che il cd. criterio teleologico ha un valore esclusivamente suppletivo rispetto a quello formale, nel senso che può essere utilizzato solo nel caso in cui una determinata formalità non sia prevista espressamente a pena di esclusione.
Con il secondo mezzo deduce la ricorrente l’omessa richiesta di regolarizzazione documentale, in conformità al generale principio del buon andamento di cui all’art. 97 della Costituzione, di cui è espressione anche l’art. 467 del d.lgs. 163 del 2006.
Se la rilevata omissione è stata sanzionata dalla espulsione della ricorrente dalla gara, in ossequio ad esplicita clausola, la stessa non può nemmeno essere considerata quale mera irregolarità formale, per ciò solo sanabile mediante integrazione documentale successiva.
Il motivo non può essere condiviso.
Sul punto la giurisprudenza amministrativa è concorde nel ritenere che la regolarizzazione documentale non può essere consentita nei casi in cui la mancata produzione sia espressamente sanzionata con l’esclusione da una regola della disciplina di gara univoca e vincolata nella sua applicazione, non essendo, in quest'ultima ipotesi, consentita la sanatoria o l'integrazione postuma che si tradurrebbero in una violazione dei termini massimi di presentazione dell'offerta e, in definitiva, in una violazione della "par condicio". (cfr. da ultimo, Cons. di Stato, Sez. V, 22 febbraio 2010, n. 1038; T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, 23 giugno 2006, n. 5092)

A cura di Sonia Lazzini

sentenza numero 22062 dell’1 luglio 2010 pronunciata dal Tar Lazio, Roma