domenica 30 ottobre 2011

Sui rischi di una responsabilità senza colpa_oggettiva_da imputarsi alla pa

la nuova regola della responsabilità oggettiva in materia di appalti pubblici deve trovare applicazione puntuale e rigorosa per il solo ambito indicato dal giudice comunitario, senza possibilità di effetto espansivo ad ogni fenomeno di condotta illecita posta in essere dall’Amministrazione




La culpa in contrahendo dell’Amministrazione va accertata in concreto.

Al riguardo, è noto che la giurisprudenza comunitaria ha di recente escluso la necessità di accertare la componente soggettiva dell’illecito, affermando perentoriamente che la direttiva 89/665/CE, che coordina le disposizioni sulle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione di appalti pubblici, deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa processuale nazionale che subordini il diritto ad ottenere il risarcimento, in relazione ad una violazione della disciplina sugli appalti pubblici da parte di un’Amministrazione aggiudicatrice, al carattere colpevole di tale violazione, anche nel caso in cui l’ordinamento nazionale preveda una presunzione di colpevolezza in capo all’Amministrazione ovvero l’impossibilità, per quest’ultima, di far valere la mancanza di proprie capacità individuali e, dunque, un difetto di imputabilità soggettiva della violazione (così Corte Giust. CE, sent. 30 settembre 2010, C-314/09, Stadt Graz; in termini analoghi, cfr. già Corte Giust. CE, sent. 14 ottobre 2004, C-275/03, Commissione c. Portogallo).

A tale principio sembra essersi conformata senza riserve la giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. Stato, sez. V, 24 febbraio 2011 n. 1193).

Tuttavia, il Collegio ritiene che la nuova regola della responsabilità oggettiva in materia di appalti pubblici debba trovare applicazione puntuale e rigorosa per il solo ambito indicato dal giudice comunitario, senza possibilità di effetto espansivo ad ogni fenomeno di condotta illecita posta in essere dall’Amministrazione.

Nelle ordinarie ipotesi di danni conseguenti alla violazione di interessi legittimi, deve tuttora ritenersi che ai fini del risarcimento non si possa prescindere dalla rimproverabilità della condotta dell’Amministrazione (in questo senso anche le più recenti pronunce della Corte di Cassazione: cfr. Cass. civ., sez. III, 9 febbraio 2004 n. 2424; Id., sez. III, 3 settembre 2007 n. 18511; Id., sez. III, 28 ottobre 2010 n. 22021).

Anche nel diritto privato vige ancora lo schema generale di responsabilità per colpa e le nuove ipotesi di responsabilità oggettiva, pur essendo ormai non infrequenti, richiedono una espressa previsione legislativa.

In tal senso, nel diritto amministrativo la regola dell’imputazione soggettiva dell’illecito aquiliano è stata ribadita dallo stesso legislatore, che ha previsto espressamente, per la responsabilità da ritardo, la necessità quantomeno della colpa (art. 30, quarto comma, cod. proc. amm.).

Né può dirsi che sul piano sistematico ricorrano, per lo svolgimento di funzioni amministrative, i presupposti tipici della responsabilità civile senza colpa, vale a dire lo svolgimento di un’attività pericolosa o di un’attività dalla quale si tragga una particolare utilità, che nella prospettiva dell’analisi economica del diritto giustificherebbero la socializzazione del rischio da illegittimità amministrativa, secondo un’ottica general-preventiva e redistributiva. Al contrario, il principale inconveniente di una generalizzata responsabilità oggettiva dell’Amministrazione sarebbe l’eccesso di deterrenza, che rischierebbe di bloccare i processi decisionali pubblici.

Per quanto detto, solo nel settore degli appalti di rilevanza comunitaria appare giustificabile una forma di responsabilità aggravata in capo al committente pubblico, perché in questo settore l’ordinamento comunitario persegue la tutela dell’interesse oggettivo alla concorrenza, che assume così rango primario e viene anteposto all’interesse pubblico particolare facente capo alla stazione appaltante. Qui, secondo autorevole dottrina, la responsabilità oggettiva viene a configurarsi come una sanzione contro lo Stato che tiene un comportamento anticomunitario.

Passaggio tratto dalla sentenza numero 1552 del 19 ottobre 2011 pronunciata dal Tar Puglia, Bari


Nel contenzioso sugli appalti, il rimedio risarcitorio costituisce una mera alternativa alle altre procedure di ricorso e può considerarsi compatibile con il principio di effettività di tutela soltanto se non sia subordinato, così come non lo sono gli altri mezzi di ricorso di tipo impugnatorio, alla prova della colpa dell’Amministrazione aggiudicatrice: non c’è spazio, in tal caso, per l’istituto dell’errore scusabile.

Ma nel campo delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici, la colpa dell’Amministrazione continua ad essere rilevante nelle ipotesi di responsabilità risarcitoria da atto legittimo, per violazione dei generali doveri di correttezza e buona fede nel corso delle trattative negoziali.

A ben vedere, in queste fattispecie non vi è una violazione diretta della disciplina sulle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici, tanto più laddove il provvedimento di autotutela sia giudicato legittimo (ovvero non venga punto impugnato dall’impresa che ne riceve pregiudizio). L’illegittimità è piuttosto riferibile al comportamento complessivo dell’Amministrazione, che assume con ingiustificato ritardo una legittima determinazione di revoca della gara, violando il legittimo affidamento dei concorrenti.

Il principio di tutela dell’affidamento ingenerato dall’Amministrazione con propri atti o comportamenti è affermato, nell’ordinamento comunitario, ben oltre i confini della materia degli appalti pubblici (cfr., tra molte, Corte Giust. CE, sent. 19 maggio 1983, C-289/81, Mavridis; Id., sent. 8 giugno 2000, C-396/98, Grundstuckgemeinschaft; in tema di affidamento indotto dalla formulazione degli atti di gara, cfr. Corte Giust. CE, sent. 27 febbraio 2003, C-327/00, Santex), quale corollario del generale principio di certezza del diritto nonché, secondo diversa ricostruzione, quale espressione del generale obbligo di comportarsi lealmente e secondo buona fede all’interno del rapporto giuridico.

Nel nostro ordinamento, dottrina e giurisprudenza ne hanno individuato in via autonoma il fondamento negli artt. 2, 3 e 97 della Costituzione, quale espressione rispettivamente del dovere di solidarietà, del principio di uguaglianza e ragionevolezza, del principio di imparzialità dell’azione amministrativa (cfr. Corte cost., sent. 4 novembre 1999 n. 416).

Il principio si traduce in un limite all’adozione di provvedimenti negativi o sfavorevoli, in presenza di un contegno tenuto dall’Amministrazione che sia idoneo a suscitare falsi affidamenti.

Spetta alla pa la discrezionalità di verificare la gravità dell’inadempimento

non è irragionevole né ingiusta la valutazione di un’Amministrazione aggiudicatrice che giudichi grave, ed incidente negativamente sull’affidabilità professionale, la condotta dell’impresa appaltatrice che abbia ritenuto unilateralmente e senza titolo un’ingente somma, percepita dagli utenti del servizio e destinata, in misura predeterminata, alle casse dell’ente.


Siffatta condotta non può trovare giustificazione nelle pretese creditorie affermate dall’impresa, in relazione ad altri aspetti del medesimo rapporto negoziale, poiché altrimenti si legittimerebbe il ricorso all’autotutela (mediante ritenzione degli introiti rivenienti dallo svolgimento del servizio pubblico), al di fuori dei principi propri del diritto dei contratti pubblici

l’art. 45, secondo comma – lett. d), della direttiva 2004/18/CE, recepito con l’art. 38, primo comma, - lett. f), del d. lgs. n. 163 del 2006, prevede oggi la possibilità di escludere l’operatore economico che “… nell’esercizio della propria attività professionale abbia commesso un errore grave, accertato con qualsiasi mezzo di prova dall’amministrazione aggiudicatrice”.

Il legislatore comunitario e quello nazionale, confermando la previsione già contenuta nel D.P.R. n. 554 del 1999 e riferita ai soli lavori pubblici, hanno rimesso alle stazioni appaltanti il potere di accertare discrezionalmente la sussistenza e la gravità dell’inadempienza imputabile all’impresa concorrente.

La gravità della negligenza o dell’inadempimento a specifiche obbligazioni contrattuali va commisurata al pregiudizio arrecato alla fiducia, all’affidamento che la stazione appaltante deve poter riporre ex ante nell’impresa con cui decide di intraprendere un nuovo rapporto contrattuale.

L’esclusione dalla gara non ha quindi, in tal caso, carattere sanzionatorio, ma è viceversa prevista a presidio dell’elemento fiduciario destinato a connotare, sin dal momento genetico, i rapporti contrattuali di appalto pubblico.

Così, secondo la giurisprudenza, la presupposta valutazione assume un aspetto più soggettivo, sull’affidabilità del potenziale contraente, che oggettivo, sul pregiudizio al concreto interesse all’esecuzione della specifica prestazione inadempiuta (in questi termini, da ultimo, Cons. Stato, sez. V, 21 gennaio 2011 n. 409).

A cura di Sonia Lazzini

Passaggio tratto dalla sentenza numero 1561 del 19 ottobre 2011 pronunciata dal Tar Puglia, Bari


La commissione ha perciò giudicato la RICORRENTE s.r.l. responsabile di gravi e reiterate inadempienze contrattuali nei confronti della stazione appaltante, tali da far venire meno il rapporto fiduciario, ed ha espresso un giudizio di inaffidabilità professionale nei confronti della società, ai sensi dell’art. 75, primo comma – lett. f), del D.P.R. n. 554 del 1999. Norma, quest’ultima, applicabile ratione temporis alla procedura su cui si controverte e richiamata dall’art. 13 del bando di gara, che vieta l’affidamento di appalti e concessioni alle imprese “che hanno commesso grave negligenza o malafede nell’esecuzione di lavori affidati dalla stazione appaltante che bandisce la gara”.

In termini analoghi, può osservarsi che l’art. 45, secondo comma – lett. d), della direttiva 2004/18/CE, recepito con l’art. 38, primo comma, - lett. f), del d. lgs. n. 163 del 2006, prevede oggi la possibilità di escludere l’operatore economico che “… nell’esercizio della propria attività professionale abbia commesso un errore grave, accertato con qualsiasi mezzo di prova dall’amministrazione aggiudicatrice”.

Il legislatore comunitario e quello nazionale, confermando la previsione già contenuta nel D.P.R. n. 554 del 1999 e riferita ai soli lavori pubblici, hanno rimesso alle stazioni appaltanti il potere di accertare discrezionalmente la sussistenza e la gravità dell’inadempienza imputabile all’impresa concorrente.

La gravità della negligenza o dell’inadempimento a specifiche obbligazioni contrattuali va commisurata al pregiudizio arrecato alla fiducia, all’affidamento che la stazione appaltante deve poter riporre ex ante nell’impresa con cui decide di intraprendere un nuovo rapporto contrattuale. L’esclusione dalla gara non ha quindi, in tal caso, carattere sanzionatorio, ma è viceversa prevista a presidio dell’elemento fiduciario destinato a connotare, sin dal momento genetico, i rapporti contrattuali di appalto pubblico. Così, secondo la giurisprudenza, la presupposta valutazione assume un aspetto più soggettivo, sull’affidabilità del potenziale contraente, che oggettivo, sul pregiudizio al concreto interesse all’esecuzione della specifica prestazione inadempiuta (in questi termini, da ultimo, Cons. Stato, sez. V, 21 gennaio 2011 n. 409).

Inoltre, l’esclusione del concorrente che sia incorso in grave negligenza o malafede nell’esecuzione dei lavori non presuppone il definitivo accertamento giudiziale in ordine a tale comportamento, essendo sufficiente la valutazione in concreto operata dalla stessa Amministrazione sui fatti imputabili all’impresa.

Il fatto, poi, che l’art. 75 del regolamento del 1999 faccia riferimento alla sola attività di “esecuzione dei lavori” non significa che, come affermato dalla ricorrente, il Comune di Foggia abbia indebitamente esteso in via analogica la portata applicativa della norma.

Il rapporto contrattuale intercorso, a far data dal 1995, tra il Comune e la RICORRENTE s.r.l. aveva infatti ad oggetto (al pari della gara controversa) la complessiva gestione del servizio di illuminazione votiva, in cui rientrava l’effettuazione di lavori di manutenzione ed ampliamento degli impianti elettrici del cimitero, sui quali non sono sorte contestazioni, secondo quanto risulta dall’attestato di regolare esecuzione rilasciato dal Comune.

Ma, per quanto qui rileva, il contratto stipulato dalla parti prevedeva, quale forma alternativa al corrispettivo diretto, la delega alla RICORRENTE s.r.l. per la riscossione dei canoni dovuti dagli utenti del servizio di illuminazione votiva, secondo il consueto schema della concessione di pubblico servizio.

La RICORRENTE s.r.l. si era resa responsabile, secondo la valutazione della commissione di gara, di un’illecita ritenzione delle somme riscosse dagli utenti e destinate, in percentuale predeterminata, al Comune. Tale inadempienza, sebbene non attenesse in senso stretto alla “esecuzione dei lavori” sugli impianti elettrici, era senz’altro riferibile ad una delle prestazioni essenziali poste a carico della società concessionaria, vale a dire la riscossione dei canoni ed il versamento di una percentuale alle casse comunali.

Ad avviso del Collegio, non è irragionevole né ingiusta la valutazione di un’Amministrazione aggiudicatrice che giudichi grave, ed incidente negativamente sull’affidabilità professionale, la condotta dell’impresa appaltatrice che abbia ritenuto unilateralmente e senza titolo un’ingente somma, percepita dagli utenti del servizio e destinata, in misura predeterminata, alle casse dell’ente. Siffatta condotta non può trovare giustificazione nelle pretese creditorie affermate dall’impresa, in relazione ad altri aspetti del medesimo rapporto negoziale, poiché altrimenti si legittimerebbe il ricorso all’autotutela (mediante ritenzione degli introiti rivenienti dallo svolgimento del servizio pubblico), al di fuori dei principi propri del diritto dei contratti pubblici.

Dalle considerazioni fin qui svolte discende l’infondatezza del primo motivo di ricorso e la legittimità dell’esclusione deliberata dalla commissione di gara nei confronti della RICORRENTE s.r.l., ai sensi dell’art. 75 del D.P.R. n. 554 del 1999.

Il direttore generale o i vice direttori generali sono esclusi dagli obblighi di dichiarazioni

la disposizione del bando non si discosta dalla lettera dell’art. 38 che considera soggetti tenuti alla dichiarazione gli amministratori muniti di potere di rappresentanza ed il direttore tecnico della società


è da escludere che il semplice affidamento di alcuni poteri a dei procuratori speciali valga a qualificarli come amministratori ai sensi dell’art. 2380 bis c.c., che affida la gestione dell’impresa esclusivamente all’organo amministrativo, sia esso un unico soggetto (amministratore unico) o composto da più persone, componenti del consiglio di amministrazione in caso di sistema monistico o del consiglio di gestione, in caso di sistema dualistico

E’ stato inoltre chiarito che nel richiedere la dichiarazione dell’amministratore, la disposizione intende indicare non il soggetto meramente dotato di poteri rappresentativi , bensì quello cui spettino compiti decisionali di indirizzo e di scelta imprenditoriale oltre che di rappresentanza della società.


A cura di Sonia Lazzini

Passaggio tratto dalla decisione numero 5641 del 21 ottobre 2011 pronunciata dal Consiglio di Stato




Aderendo a tale impostazione, dunque, il Collegio ritiene di escludere dal novero dei soggetti su cui grava l’onere dichiarativo il Direttore o i Vicedirettori generali che, seppur muniti di potere di rappresentanza, non assumono , in base al dettato dell’art. 2396 c.c. ed in assenza di una specifica previsione statutaria che conferisca poteri decisionali e non solo rappresentativi , la posizione funzionale ed i poteri di indirizzo dell’impresa spettanti agli amministratori per l’attuazione dell’oggetto sociale.

In senso contrario non può considerarsi sufficiente l’estensione al direttore generale delle disposizioni concernenti la responsabilità degli amministratori, posto che “il legislatore nell’art. 2396 c.c. non ha offerto una definizione di direttore generale legata al contenuto intrinseco delle mansioni, ma ha collegato la responsabilità di tale soggetto alla sua posizione apicale all’interno della società, desunta dal dato formale della nomina da parte dell’assemblea o anche da parte del consiglio d’amministrazione, in base ad apposita previsione statutaria”( Cass. Sez.I, 5.12.2008, n. 28819). Dunque, dalla estensione della responsabilità non può farsi discendere il riconoscimento di poteri all’interno dell’organizzazione della società tali da consentire l’equiparazione tra il direttore generale e l’organo di amministrazione, rispetto al quale il primo conserva una funzione esecutiva.

In assenza, pertanto, di una estensione , ad opera dell’art.38 o della lex specialis, degli oneri dichiarativi gravanti sugli amministratori alla figura del direttore generale e della dimostrazione, in base alle norme statutarie , della spettanza al Direttore ed al Vicedirettore generale di poteri, oltre che di rappresentanza, anche di decisione e di indirizzo dell’impresa, si ritiene che la sanzione espulsiva riconosciuta dal T.a.r. , oltre a non essere rispondente al dato letterale, confligga con “la certezza del diritto sotto un profilo di estrema rilevanza per la libertà di iniziativa economica delle imprese, costituito dalla possibilità di partecipare ai pubblici appalti” (Cons. St. n. 513/2011 cit.).

Devono essere dichiarate tutte le condanne riportate

Devono essere dichiarate tutte le condanne riportate


le valutazioni in ordine alla gravità delle condanne riportate dai concorrenti ed alla loro incidenza sulla moralità professionale spettano alla Stazione appaltante e non al concorrente medesimo

il partecipante è pertanto tenuto ad indicare tutte le condanne riportate, non potendo operare alcun filtro, omettendo la dichiarazione di alcune sulla base di una selezione compiuta secondo criteri soggettivi, e ciò indipendentemente dall’inserimento dell’obbligo in una specifica clausola del bando e/o del disciplinare di gara.

a cura di Sonia Lazzini

Passaggio tratto dalla sentenza 331 del 18 ottobre 2011 pronunciata dal Tar Umbria, Perugia


Ed infatti l’omissione, a prescindere dal dolo o dalla colpa del dichiarante, rileva non solo in quanto non consente alla Stazione appaltante una completa valutazione dell’affidabilità del concorrente, ma anche, e soprattutto, perché interrompe il nesso fiduciario che necessariamente deve presiedere ai rapporti tra l’Amministrazione ed il soggetto aggiudicatario del contratto (in termini, tra le tante, Cons. Stato, Sez. VI, 3 febbraio 2011, n. 782; Sez. V, 13 luglio 2010, n. 4520; Sez. V, 8 ottobre 2010, n. 7349; T.A.R. Umbria, 13 ottobre 2011, n. 330)..

Tale orientamento giurisprudenziale ha, del resto, trovato conferma sul piano del diritto positivo nella novella apportata al codice dei contratti pubblici dal recente d.l. 13 maggio 2011, n. 70, che, nel riformare il secondo comma dell’art. 38, dispone ora apertis verbis che debbono essere riportate nella dichiarazione tutte le condanne penali riportate, ivi comprese quelle per le quali (il concorrente) abbia beneficiato della non menzione (salvo che si tratti di condanne per reati depenalizzati, ovvero dichiarati estinti dopo la condanna, od ancora di condanne revocate o per le quali è intervenuta la riabilitazione).

Giova aggiungere, con riferimento a quanto dedotto dalla controinteressata con la memoria del 9 settembre 2011, che nel caso di specie non può neppure parlarsi di un reato estinto per decorso del biennio ai sensi dell’art. 460, comma 5, del c.p.p., in quanto, secondo la consolidata giurisprudenza amministrativa, perché operi la causa estintiva del reato è necessario che essa sia dichiarata dal giudice dell’esecuzione penale con provvedimento formale ai sensi dell’art. 676 del c.p.p. (in termini, tra le tante, Cons. Stato, Sez. VI, 21 dicembre 2010, n. 9324).

Bisogna poter identificare il dichiarante delle idonee referenze bancarie

Doverosa esclusione per mancanza assoluta di identificabilità del dichiarante delle referenze bancarie prodotte ; con conseguente carenza di riferibilità di dette dichiarazioni ad un soggetto determinato

pur in assenza di specifiche prescrizioni, l’espressione “attestazione di idoneo istituto bancario sulla solvibilità” richiede requisiti di sostanza e di forma che consentano di attribuire al documento connotati intrinseci ed estrinseci di una vera e propria certificazione di cui il dichiarante assume responsabilità

L’impossibilità di risalire all’autore del documento, neppure presuntivamente, non ne consente neanche l’utilizzazione, a posteriori, in sede di verificazione del possesso dei requisiti

Di Sonia Lazzini


Passaggio tratto dalla sentenza numero 2493 del 19 ottobre 2011 pronunciata dal Tar Sicilia, Catania

Il Collegio ritiene in proposito di aderire all’indirizzo espresso dal C.G.A. Reg. Sic.na, il quale, con sent. n. 1423 del l 2.12.2010, a proposito di analoghe dichiarazioni, contenenti sottoscrizioni illeggibili, non riferibili ad un preciso soggetto fisico, prive dell’indicazione della qualifica e dello status dell’autore del tratto di penna ovvero almeno di indicazione –anche non autografa- per esteso di un qualsivoglia nominativo, ha ritenuto che < pur in assenza di specifiche prescrizioni, l’espressione “attestazione di idoneo istituto bancario sulla solvibilità” richieda requisiti di sostanza e di forma che consentano di attribuire al documento connotati intrinseci ed estrinseci di una vera e propria certificazione di cui il dichiarante assume responsabilità. Tutto ciò non è riconoscibile> allorquando <non è individuabile in alcun modo la persona fisica che ha rilasciato il documento, e neppure è relazionabile la sigla al titolare di una qualche attribuzione di responsabilità, nell’ambito dell’istituto indicato nell’intestazione. L’impossibilità di risalire all’autore del documento, neppure presuntivamente, non ne consente neanche l’utilizzazione, a posteriori, in sede di verificazione del possesso dei requisiti (in termini, C.G.A., n. 1423/2010 cit.).

Anche nel caso in esame, non può in alcun modo attribuirsi, a nessuno dei due documenti prodotti in gara dalla controinteressata, il connotato di “dichiarazione”, richiesto dalla norma speciale del bando di gara.

Ne consegue l’illegittimità dell’ammissione alla gara della controinteressata.

La fondatezza del motivo in questione conduce all’accoglimento del ricorso ed al conseguente annullamento, in parte qua, degli atti della gara e dell’aggiudicazione, previo assorbimento degli ulteriori profili di censura del ricorso principale e per motivi aggiunti, al cui esame parte ricorrente non mantiene alcun interesse

sabato 29 ottobre 2011

Legittima riattribuzione del contratto, spontaneamente attuata dall’amministrazione

in seguito alla disciplina introdotta dal decreto legislativo n. 53/2010 e poi trasfusa nell'articolo 122 del codice del processo amministrativo, spetta oggi al giudice “che annulla l'aggiudicazione” il potere di pronunciarsi in ordine alla inefficacia del contratto.

È evidente, peraltro, che tale nuova regola non può trovare applicazione nei giudizi definiti, in sede di cognizione, prima dell’entrata in vigore di siffatte disposizioni.

Pertanto, in relazione a tali controversie, resta fermo il potere del giudice di accertare, in sede di ottemperanza, l'inefficacia del contratto, secondo le coordinate segnate dalla summenzionata pronuncia dell’Adunanza Plenaria.

Il Consiglio ha tuttavia precisato che i nuovi parametri normativi contenuti negli articoli 121 e 122 del c.p.a., riferiti alle modalità di esercizio di un potere di cognizione e di decisione del giudice, devono trovare piena applicazione anche in relazione ai contratti stipulati sulla base di aggiudicazioni annullate in epoca anteriore all'entrata in vigore del decreto legislativo n. 53/2010, purché sia ancora controversa l'efficacia del contratto.

Infatti, le norme, avendo prevalente contenuto processuale, trovano applicazione anche nei giudizi in corso. Pertanto, l'esito della inefficacia del contratto può affermarsi solo in seguito alla corretta applicazione delle regole contenute negli articoli 121 e 122.

la scelta di sostituire l’aggiudicatario, quale “reintegrazione in forma specifica” del soggetto che ha ottenuto la statuizione di annullamento, appartiene “agli ulteriori provvedimenti dell'amministrazione che rimangono comunque salvi dopo la pronunzia emanata nel giudizio di legittimità” (così l’Adunanza Plenaria, n. 9 del 2008) essendo l’amministrazione medesima obbligata ad eseguire la sentenza attraverso misure volte a dare attuazione ai suoi effetti, caducatori e ripristinatori.

A Cura di Sonia Lazzini


Passaggio tratto dalla sentenza numero 8065 del 19 ottobre 2011 pronunciata dal Tar Lazio, Roma


Nel caso di specie, va comunque soggiunto che la riattribuzione del contratto, spontaneamente operata dall’amministrazione, si appalesa conforme anche ai parametri normativi segnati dall’art. 122 del codice del processo amministrativo.

Ai sensi di tale disposizione “Fuori dei casi indicati dall’ articolo 121, comma 1, e dall’ articolo 123, comma 3, il giudice che annulla l’aggiudicazione definitiva stabilisce se dichiarare inefficace il contratto, fissandone la decorrenza, tenendo conto, in particolare, degli interessi delle parti, dell’effettiva possibilità per il ricorrente di conseguire l’aggiudicazione alla luce dei vizi riscontrati, dello stato di esecuzione del contratto e della possibilità di subentrare nel contratto, nei casi in cui il vizio dell’aggiudicazione non comporti l’obbligo di rinnovare la gara e la domanda di subentrare sia stata proposta.”.

Sulla base di questi elementi è possibile rilevare, in primo luogo, che il contratto di cui si verte, ha avuto un durata biennale, con scadenza al 5 maggio 2011. Peraltro, ragioni di continuità nell’erogazione dei servizi previsti dall’art. 51 disp. att. c.p.p, hanno reso necessario il prolungamento del termine di efficacia sino al 5 novembre 2011.

La circostanza che il Consorzio e l’amministrazione abbiano concordato il subentro, rivela che il primo (come del resto dalla stesso specificamente dedotto sin dal ricorso introduttivo) aveva ancora un apprezzabile interesse al conseguimento del contratto per la residua durata dell’appalto.

Allo stesso modo è evidente che tale sostituzione non ha comportato un significativo pregiudizio né all’amministrazione - salvo la necessità di alcuni adeguamenti tecnici, realizzati in pochi giorni (cfr. la nota ministeriale del 2.8.2011, allegata da Ricorrente alla memoria del 29.8.2011) - né, a ben vedere, allo stesso originario aggiudicatario, il quale non ha allegato ragioni ostative diverse dalla perdita della commessa che le era stata illegittimamente assegnata e che era, ormai, praticamente ultimata.

Sussiste altresì il requisito della “effettiva possibilità per il ricorrente di conseguire l’aggiudicazione alla luce dei vizi riscontrati”.

Come si ricorderà, il Consorzio Ricorrente si era classificato al secondo posto della gara di cui verte e, pertanto, ove l’rti controinteressato fosse stato escluso ab origine, sarebbe stato dichiarato aggiudicatario del lotto n. 3.

Infine, con il ricorso in ottemperanza, il Consorzio ha chiesto espressamente di subentrare nel contratto (cfr., al riguardo, anche l’art. 124 del c.p.a.).

In definitiva, per quanto sin qui argomentato, il ricorso “incidentale” deve essere respinto, mentre deve essere dichiarata cessata la materia contendere in ordine alla domanda di esecuzione in forma specifica della sentenza n. 8610/2010, avendo l’amministrazione provveduto a riattribuire il contratto di cui si verte, sia pure solo a decorrere dal 6 agosto 2011.

Il responsabile tecnico non deve fornire le dichiarazioni di cui all’articolo 38

l’individuazione del novero dei soggetti nei cui confronti il codice dei contratti pone l’onere di dimostrare l’assenza di fattori pregiudizievoli ai sensi del richiamato art. 38, non è suscettibile di applicazioni estensive


l’art. 38 del D. Lgs. N. 163/2006 dispone che le dichiarazioni ivi previste debbano essere rese, nel caso di società per azioni, “dagli amministratori muniti di poteri di rappresentanza e dal direttore tecnico” senza fare alcun riferimento alla figura del Responsabile Tecnico degli impianti.

per ciò che specificatamente concerne le società di capitali, sulla base del portato letterale dell’art. 38 del d.lgs. l’ambito dell’obbligo deve essere limitato alle due sole categorie degli “amministratori muniti di poteri di rappresentanza” ovvero del “direttore tecnico”, che sono gli unici soggetti in grado di determinare in concreto le scelte imprenditoriali e gestionali.

l’inserimento tra i “titolari di cariche o qualifiche” di un soggetto quale “responsabile degli impianti” non può assumere il rilievo voluto in quanto – come è evidente proprio dalla stessa certificazione camerale – tale qualificazione non si pone sul piano della rappresentanza istituzionale dell’impresa, ma è strettamente limitata all’ambito gestionale del rilascio delle certificazioni ai terzi della conformità degli impianti elettrici, di riscaldamento e climatizzazione, idrosanitari e del gas, nonché degli ascensori realizzati dall’azienda

In buona sostanza, non c’è dubbio che il Responsabile Tecnico non abbia il potere di manifestare la volontà della società, persona giuridica, verso l’esterno, ma assuma per legge la mera responsabilità per l’esercizio della sua specifica attività professionale, ed il fatto che la sua responsabilità “tecnica” possa indirettamente ripercuotersi sulla società alle cui dipendenze opera, non pone certamente l’obbligo a suo carico delle dichiarazioni di cui all’art. 38 lett. b) e c) del D. Lgs. 163/2006.


A cura di Sonia Lazzini

Riportiamo qui di seguito il testo della decisione numero 5638 del 21 ottobre 2011 pronunciata dal Consiglio di Stato

L’impresa danneggiata deve provare il danno subito

sussistono tutti i requisiti necessari per disporre il richiesto risarcimento, risultando acclarata l’illegittimità dell’atto, che ha originato il danno subito dalla ricorrente (mancata esclusione della controinteressata e quindi perdita dell’aggiudicazione della gara, essendo la ricorrente seconda in graduatoria).

Per quanto attiene all’elemento soggettivo della colpa, con sentenza 30 settembre 2010 numero C-314/09 la Corte di Giustizia delle Comunità Europee ne ha escluso qualsiasi rilevanza ai fini della tutela risarcitoria in materia di appalti, e ciò ha condotto già ad alcune applicazioni da parte dei Giudici Amm.vi (cfr. vedi TAR Lombardia – Brescia, sez. II 04.11.2010 n. 4552), incluso questo Tribunale.

Pertanto, sussistono tutti i requisiti necessari per disporre il risarcimento dei danni, che deve riguardare, essendo ormai stato espletato il servizio, il ristoro per equivalente.

Occorre ricordare che, con le richiamate sentenze di questo Tribunale (nn. . 4843 e 1050 del 2010 cit.), in tema di mancata aggiudicazione, si è affermato, circa il mancato utile, che, se la parte che chiede il risarcimento del danno non documenta di non aver potuto utilizzare altrimenti le maestranze ed i mezzi lasciati disponibili per l'espletamento dell'appalto, il risarcimento dev’essere riconosciuto non nella sua interezza dell'utile di impresa nella misura del 10%, ma va ridotto, in via equitativa, in misura pari al 5% dell'offerta dell'impresa sull’importo soggetto a ribasso, e con esclusione degli oneri incomprimibili (atteso che l’utile d’impresa può essere calcolato solo sul primo importo), importo depurato del ribasso d’asta

Nel caso specifico, il Collegio ritiene di riconoscere il risarcimento, in via equitativa, in detta misura , considerando che la ricorrente non ha né allegato, né tantomeno provato che dall'esclusione sia conseguita un'inutile immobilizzazione di risorse umane e mezzi tecnici e che, pertanto, può ritenersi che essa abbia ragionevolmente riadoperato le proprie risorse per lo svolgimento di attività analoghe.

Passaggio tratto dalla sentenza numero 2493 del 19 ottobre 2011 pronunciata dal Tar Sicilia, Catania

In carenza di prova, nessun’altra somma può essere riconosciuta, né a titolo di mancato utile, né quale danno emergente riconducibile alle spese per la partecipazione alla gara: secondo l’indirizzo della Sezione di cui alle richiamate sentenze, in applicazione del principio generale fissato dall’art.2967 c.c., l’impresa danneggiata è tenuta a comprovare in modo rigoroso l’esistenza del danno che assume subito, non potendosi invocare il cd principio acquisitivo, in quanto attinente allo svolgimento dell’istruttoria e non all’allegazione dei fatti, sottoposti all’onere della prova.

Tale principio è stato applicato dalla Sezione anche al danno emergente riconducibile alle spese per la partecipazione alla gara, del quale si deve rigorosamente offrire dimostrazione (v. T.A.R. Sicilia - Catania, III, n. 854/2011 del 07/04/2011).

Pertanto, il Collegio, individuati come sopra i criteri generali per la quantificazione del danno e per la formulazione di una proposta risarcitoria da parte del Comune resistente alla ricorrente, ritiene di dare applicazione all’art. 34, comma 4, del D.Lgs. n. 104/2010, il quale dispone che “in caso di condanna pecuniaria, il giudice può, in mancanza di opposizione delle parti, stabilire i criteri in base ai quali il debitore deve proporre a favore del creditore il pagamento di una somma entro un congruo termine”.

In applicazione di detta norma, l’Amministrazione intimata va condannata a quantificare la somma spettante a titolo risarcitorio alla ricorrente, e a rivolgerle la relativa offerta dettagliata e motivata, secondo i criteri sopra indicati, entro il termine massimo di sessanta giorni dalla comunicazione o, se anteriore, dalla notifica della presente decisione.

Trattandosi di debiti di valore (risarcimento del danno), sulle somme così liquidate deve riconoscersi la rivalutazione monetaria, secondo gli indici ISTAT, da computarsi dalla data in cui avrebbe dovuto essere stipulato il contratto, e fino alla data di deposito della presente decisione (data quest'ultima che costituisce il momento in cui, per effetto della liquidazione giudiziale, il debito di valore si trasforma in debito di valuta).

Sulle somme rivalutate non vanno aggiunti gli interessi legali dalla data della stipulazione del contratto fino alla data di deposito della presente decisione, atteso che, altrimenti, si produrrebbe l'effetto di far conseguire al creditore più di quanto lo stesso avrebbe ottenuto nel caso di assegnazione dell'appalto; gli interessi legali sulle somme dovute spettano invece dalla data di deposito della presente decisione fino all'effettivo soddisfo (cfr. T.A.R. Catania, Sezione Terza, sentenze sopra rich.).

Vanno riconosciute le spese sostenute mentre non è provato il danno da mancata partecipazione ad altre gare

Ai fini della commisurazione del danno risarcibile, deve aversi riguardo al solo interesse negativo, ossia alle spese effettivamente sostenute in vista della conclusione dell’affare (danno emergente) ed alle occasioni contrattuali perse per aver confidato nell’impegno assunto (lucro cessante),

mentre resta escluso il risarcimento dell’utile che si sarebbe conseguito con l’esecuzione del contratto (cfr., tra molte, Cons Stato, sez.. V, 10 novembre 2008 n. 5574; Id., sez. IV, 4 ottobre 2007 n. 5179; TAR Puglia, Bari, sez. I, 16 febbraio 2008 n. 249; Id., sez. I, 14 settembre 2010 n. 3459; Id., sez. I, 12 gennaio 2011 n. 20).

Le spese riconducibili all’appalto (cfr. doc. 3 e 6 di parte ricorrente), non contestate dalla difesa del Comune di Apricena, si riferiscono:

- alla progettazione della ditta ALFA. s.r.l. (fattura del 21 novembre 2007, per l’importo di euro 25.000,00);

- al contributo versato all’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici (per l’importo di euro 80,00);

- alla polizza fideiussoria per la partecipazione alla gara (rilasciata il 12 settembre 2007 dalla Italiana Assicurazioni s.p.a., per un costo di euro 55,00).

Il totale delle spese documentate ammonta pertanto a euro 25.135,00.

Viceversa, non risulta provato che la società ricorrente abbia rinunciato ad altri affidamenti analoghi, nel periodo in cui si è svolta la gara indetta dal Comune di Apricena.

A cura di Sonia Lazzini


Passaggio tratto dalla sentenza numero 1552 del 19 ottobre 2011 pronunciata dal Tar Puglia, Bari

Tra i documenti prodotti tempestivamente (con il deposito del 15 settembre 2010) non vi sono, ad esempio, copie dei bandi gara pubblicati nel periodo 2007 – 2008, oppure atti equipollenti che facciano presumere la rinuncia ad altre commesse.

L’istanza istruttoria formulata da parte ricorrente (pag. 12 del ricorso introduttivo) non può essere accolta. Infatti:

- non è ammesso il primo capitolo di prova testimoniale (se è vero che la Ricorrente s.r.l., per partecipare alla gara indetta dal Comune di Apricena con bando del 12 luglio 2007, ha rinunciato a partecipare ad altre procedure concorsuali aventi lo stesso oggetto e bandite da altre Amministrazioni comunali), in quanto generico ed irrilevante, poiché, anche in caso di risposta affermativa, resterebbero non specificate le gare d’appalto cui la ricorrente avrebbe rinunciato, non essendo tale dato neppure implicitamente desumibile dai documenti ritualmente prodotti in atti;

- il secondo capitolo di prova testimoniale (se è vero che la revoca della gara disposta dal Comune di Apricena ha prodotto un danno alla Ricorrente s.r.l., per la mancata partecipazione ad altre procedure concorsuali) è inammissibile, in quanto richiede l’espressione di un giudizio valutativo.

3. Sulla somma di euro 25.135,00 vanno riconosciuti la rivalutazione monetaria e gli interessi compensativi, nonostante l’assenza di specifica domanda sul punto (cfr. Cass. civ., sez. III, 13 febbraio 1982 n. 894; Id., sez. III, 26 febbraio 2004 n. 3871).

Il credito derivante da responsabilità extracontrattuale (cui è riconducibile la responsabilità precontrattuale, secondo la tesi preferibile) ha, infatti, natura di credito di valore, con la conseguenza che esso va anche maggiorato della rivalutazione monetaria, che deve ritenersi compresa nell’originario petitum della domanda risarcitoria, con decorrenza dalla maturazione del diritto. La rivalutazione va quindi calcolata dal 18 aprile 2008, data della revoca della procedura di gara, fino alla data di pubblicazione della presente sentenza, sulla base degli indici ISTAT dei prezzi al consumo (non avendo la ricorrente provato il maggior danno da svalutazione).

Quanto agli interessi, è noto che nell’obbligazione risarcitoria da fatto illecito è dovuto al danneggiato anche il risarcimento del danno da ritardo conseguente alla mancata disponibilità per impieghi remunerativi della somma di denaro in cui il debito viene liquidato, da corrispondersi mediante interessi compensativi.

A giudizio del Collegio, tenendo conto degli indici di svalutazione e del tasso medio di remuneratività del denaro nel periodo rilevante, il criterio equitativamente preferibile è quello di calcolare gli interessi legali sull’importo non attualizzato dal 18 aprile 2008 alla pubblicazione della sentenza, e successivamente a quest’ultima data, sull’importo attualizzato e fino al dì del saldo (secondo il criterio adottato su fattispecie identica da Cons. Stato, sez. IV, 4 ottobre 2007 n. 5179).

mercoledì 26 ottobre 2011

Anche per la tassatività delle cause di esclusione, presentare l’offerta in ritardo è fonte di legittima esclusione dalla procedura

l’esclusione dalla gara della società ricorrente appare corretta anche alla stregua dell’art. 46, I comma bis del DLgs n. 163/06 in quanto il mancato rispetto del termine per la presentazione della domanda di partecipazione costituisce “inadempimento” alla prescrizione contenuta nell’art. 70 del DLgs n. 163/2006 (alla stregua del quale, appunto, la stazione appaltante fissa, fra l’altro, i termini per la ricezione delle domande di partecipazione alla gara);

Tratto dalla sentenza numero 1573 del 24 ottobre 2011 pronunciata dal Tar Veneto, Venezia

martedì 25 ottobre 2011

Corretto dimezzamento della cauzione provvisoria per possesso della qualità

Legittimamente è stata ammessa l’impresa che ha presentato una cauzione provvisoria pari all’ 1% dell’importo posto a base d’asta

La stazione appaltante, per la dimostrazione del possesso della certificazione di qualità da parte della concorrente, si è affidata al contenuto della Soa

Il possesso della certificazione di qualità aziendale ovvero il possesso della dichiarazione della presenza di requisiti del sistema di qualità aziendale, rilasciate da soggetti accreditati, ai sensi delle norme europee della serie UNI CEI EN 45000, al rilascio della certificazione nel settore delle imprese di costruzione, è attestato dalle SOA

a cura di Sonia Lazzini


Passaggio tratto dalla sentenza 331 del 18 ottobre 2011 pronunciata dal Tar Umbria, Perugia


Violazione dell’art. 75 del d.lgs. n. 163 del 2006; inadeguatezza della cauzione provvisoria prodotta dal R.T.I. CONTROINTERESSATA. in quanto dimidiata in virtù di un attestato di qualità non pertinente alla gara oggetto di affidamento.

Dalla documentazione è emerso che l’A.T.I. CONTROINTERESSATA. ha prodotto una cauzione provvisoria pari all’uno (anziché del due) per cento del prezzo base indicato nel bando o nell’invito, in forza di una certificazione di qualità che non risulta però pertinente all’oggetto della gara, concernendo il settore “costruzioni idriche”, mentre occorreva la qualificazione OG3, classifica IV

Con il secondo motivo aggiunto, in particolare, si lamenta la violazione dell’art. 75, comma 7, del d.lgs. n. 163 del 2006 per l’asserita inadeguatezza della cauzione provvisoria prodotta dal R.T.I. CONTROINTERESSATA., dimezzata in virtù di un certificato di qualità (concernente il settore della costruzione di reti idriche) non pertinente alla gara oggetto di affidamento, che richiedeva, come qualificazione, la OG3, classifica IV.


Il mezzo è infondato, in quanto, come dedotto dall’Amministrazione comunale, la CONTROINTERESSATA. è risultata, dalla attestazione SOA acquisita, avere una qualificazione anche per la categoria OG3, classe V (cfr. doc. A del Comune di Terni) valida fino al 28 novembre 2010.

Deve, al riguardo, considerarsi, alla stregua di quanto disposto dall’art. 4, comma 3, del (all’epoca vigente) d.P.R. 25 gennaio 2000, n. 34, e di una lettura sistematica della disciplina, legittimo il comportamento dell’Amministrazione appaltante che ha considerato decisivo quanto dichiarato nell’attestazione SOA (così Cons. Stato, Sez. V, 23 gennaio 2008, n. 147).


Si legga anche

Quali sono gli ambiti di discrezionalità di una Stazione Appaltante rispetto alle dichiarazioni contenute nel certificato di regolarità contributiva?è corretto affermare che negli appalti di lavori, la certificazione di qualità è già dimostrata attraverso il possesso dell’attestazione SOA?


A seguito dell’entrata un vigore della disciplina sul  certificato  di regolarità contributiva, dettata dall’art.2 del D.L. 25 settembre 2002 n. 210 , così come modificato dalla legge di conversione 22 novembre 2002 n. 266 e dall’art. 3, comma 8 lett. b-bis) del D.Lgs. 14 agosto 1996 n. 494, lettera aggiunta dall’art. 86, comma 10, del D.Lgs. 10 settembre 2003 n. 276,  la verifica della regolarità contributiva non è più di competenza delle stazioni appaltanti, ma è demandata agli enti previdenziali: la stazione appaltante non deve dunque far altro che prendere atto della certificazione senza poter in alcun modo sindacarne le risultanze  (come avviene del resto con riferimento a qualsiasi  certificazione acquisita per comprovare  requisiti, il cui accertamento è affidato ad altre amministrazioni

Merita di essere segnalata la decisione numero 147 del 23 gennaio 2008 emessa dal Consiglio di Stato per due importanti insegnamenti  in essa contenuti:


< il procedimento di rilascio della certificazione di regolarità contributiva ha una sua autonomia rispetto al procedimento di gara (si è già del resto sottolineato che la stessa certificazione è richiesta anche per i lavori privati, ove non si fa certo riferimento a procedimenti di gara) ed è sottoposto alle regole proprie della materia previdenziale, della cui corretta applicazione è peraltro competente a conoscere il giudice ordinario.>

Inoltre, in tema di appalti pubblici di lavori, il Supremo Giudice Amministrativo ci insegna che:

< Anche in proposito deve essere condivisa la conclusione cui è giunto il Tar sulla base della dichiarazione contenuta nell’attestazione SOA circa il possesso di tale certificato di qualità e dell’art. 4 comma 3 del d.P.R. 25 gennaio 2000, n. 34, il quale prevede  che “Il possesso della certificazione di qualità aziendale ovvero il possesso della dichiarazione della presenza di requisiti del sistema di qualità aziendale, rilasciate da soggetti accreditati, ai sensi delle norme europee della serie UNI CEI EN 45000, al rilascio della certificazione nel settore delle imprese di costruzione, è attestato dalle SOA”.
Nè la predetta conclusione può essere disattesa per il fatto che l’impresa interessata aveva prodotto in gara una specifica certificazione sulla qualità che poteva far sorgere qualche dubbio sull’effettiva portata della certificazione stessa, perché ogni dubbio in proposito doveva essere fugato dalla circostanza, prevista espressamente dal bando al punto10 lett.b), che il possesso del requisito di qualità doveva essere indicato nell’attestazione SOA, sicchè nella fattispecie l’amministrazione avrebbe comunque dovuto considerare decisivo quanto dichiarato in quest’ultima attestazione.>

Solo le imprese concorrenti conoscono gli oneri per la sicurezza per i rischi specifici

Ai sensi dell’art. 86, comma 3-bis e dell’art. 87, comma 4, del d.lgs. n. 163/2006, gli oneri della sicurezza – sia nel comparto dei lavori che in quelli dei servizi e delle forniture – vanno distinti tra oneri non soggetti a ribasso finalizzati all’eliminazione dei rischi da interferenze (quantificati dalla stazione appaltante nel DUVRI) ed oneri inclusi nell’offerta

Questi ultimo sono aperti quindi al confronto concorrenziale, concernenti i costi specifici connessi con l’attività delle imprese, da indicarsi a cura delle stesse nelle offerte rispettive, con conseguente onere per la stazione appaltante di valutarne la congruità rispetto all’entità ed alle caratteristiche del lavoro, servizio o fornitura.

Nella predisposizione dei bandi di gara e della documentazione integrativa degli stessi, i costi relativi alla sicurezza derivanti dalla valutazione delle interferenze devono essere indicati separatamente dall’importo dell’appalto posto a base d’asta, con preclusione di ogni facoltà di ribasso dei costi stessi in virtù della indisponibilità di detti oneri da parte dei concorrenti, trattandosi di costi necessari, finalizzati con tutta evidenza alla massima tutela del bene costituzionalmente rilevante dell’integrità dei lavoratori.

Tale principio si applica non solo agli appalti di lavori pubblici, ma anche a quelli di servizi e di forniture.

Passaggio tratto dalla sentenza numero 992 del 18 ottobre 2011 pronunciata dal Tar Sardegna, Cagliari

La censura della ricorrente è, quindi, fuori bersaglio. Essa non contesta la valutazione effettuata dalla stazione appaltante in ordine alla non necessità della redazione del DUVRI ed alla conseguente inesistenza di rischi interferenziali bensì si sofferma sulla mancata indicazione degli oneri per la sicurezza nel bando che sarebbero lasciati alla libera disponibilità dei con concorrenti.

Ciò non corrisponde al vero.

In virtù dei sopra richiamati principi, ciò che l’Amministrazione ha lasciato alla determinazione dei concorrenti (e su cui avrebbe poi dovuto effettuare le adeguate valutazioni in ordine alla congruità) sono proprio gli oneri per la sicurezza per i rischi specifici propri delle imprese appaltatrici e da queste solo conosciuti.

Il bando di gara a pagina 20 prevedeva che “l’offerta economica, a pena di esclusione, dovrà specificamente indicare i costi relativi alla sicurezza afferenti all’esercizio dell’attività svolta dal concorrente, che dovranno comunque risultare congrui rispetto all’entità e alle caratteristiche delle prestazioni oggetto dell’appalto, si precisa che i costi della sicurezza, poiché facenti parte dell’offerta, dovranno essere ricompresi nel prezzo proposto”.

Gli oneri derivanti dagli artt. 86 comma 3 bis e 3 ter e 87 comma 4 del d.lgs. 163 del 2006 sono, pertanto, stati assolti dall’Amministrazione.

Relativamente alle diverse contestazioni che la ricorrente fa circa la base d’asta va ricordato, in punto di diritto, che se è vero che la misura del prezzo a base d'asta non implica una mera scelta di convenienza e opportunità, ma una valutazione alla stregua di cognizioni tecniche (andamento del mercato nel settore di cui trattasi, tecnologie che le ditte devono adoperare nell'espletamento dei servizi oggetto dell'appalto, numero di dipendenti che devono essere impiegati, rapporto qualità-prezzo per ogni servizio) sulla quale è possibile il sindacato del giudice amministrativo, va precisato che tale sindacato è limitato ai casi di complessiva inattendibilità delle operazioni e valutazioni tecniche operate dall'amministrazione, alla illogicità manifesta, alla disparità di trattamento, non potendo il giudizio che il Tribunale compie giungere alla determinazione del prezzo congruo (cfr. T.A.R. Sicilia Catania, sez. II, 09 maggio 2006 , n. 716, T.a.r. Sardegna, Sez. I, 20.5.2010, n. 1232 ).

Revoca legittima ma comportamento contrario alla buona fede e correttezza

la domanda risarcitoria può essere accolta a titolo di responsabilità precontrattuale ex art. 1337 cod. civ., sicuramente ravvisabile nella condotta tenuta dal Comune di Apricena


Costituisce ius receptum il principio secondo cui la legittimità dell’atto di revoca dell’aggiudicazione di una gara di appalto non elimina il profilo relativo alla valutazione del comportamento dell’Amministrazione, con riguardo al rispetto dei canoni di buona fede e correttezza (da intendersi in senso oggettivo), nell’ambito del procedimento di evidenza pubblica preordinato alla selezione del contraente.

L’espressa previsione nell’art. 21-quinquies della legge n. 241 del 1990 dell’obbligo di indennizzare il privato, per eventuali pregiudizi subiti in conseguenza della revoca, non fa venir meno la possibile responsabilità della stazione appaltante per violazione dell’obbligo di buona fede nelle trattative che conducono alla conclusione del contratto di appalto.

Non costituisce ostacolo al riconoscimento della responsabilità precontrattuale dell’ente la mancata impugnazione del provvedimento di revoca, purché sia provato che l’elusione delle aspettative della società ricorrente, seppure non intenzionale, è colposa e contraria ai canoni di correttezza e buona fede nella formazione del contratto. La responsabilità precontrattuale per la revoca della gara può infatti sempre ritenersi configurabile, quando il fine pubblico venga attuato attraverso un comportamento obbiettivamente lesivo dei doveri di lealtà, sicché anche dalla revoca legittima degli atti di gara può scaturire l’obbligo di risarcire il danno, nel caso di affidamento suscitato nell’impresa (in tal senso la più recente giurisprudenza amministrativa: Cons. Stato, ad. plen., 5 settembre 2005 n. 6; Id., sez. V, 30 novembre 2007 n. 6137; Id., sez. V, 8 ottobre 2008, n. 4947; Id. sez. V, 7 settembre 2009 n. 5245; Id., sez. VI, 12 luglio 2011 n. 4196; TAR Campania, Napoli, sez. I, 8 febbraio 2006 n. 1794; TAR Lazio, sez. II-quater, 2 aprile 2010 n. 5621; TAR Puglia, Bari, sez. I, 14 settembre 2010 n. 3459; Id., sez. I, 12 gennaio 2011 n. 20).


Passaggio tratto dalla sentenza numero 1552 del 19 ottobre 2011 pronunciata dal Tar Puglia, Bari


Nella concreta fattispecie, il Comune di Apricena ha tenuto un contegno che risulta complessivamente contrario ai canoni della buona fede e correttezza, ingenerando nella società ricorrente un affidamento sulla conclusione della procedura di gara, la cui violazione ha determinato un danno che è meritevole di adeguato ristoro.

La delibera di revoca è giunta, infatti, a distanza di ben nove mesi dalla pubblicazione del bando di gara. Il decorso di un tempo così lungo costituisce, di per sé, sintomo di negligenza e cattiva amministrazione, poiché le gare per l’affidamento dei servizi pubblici debbono svolgersi celermente, nel rispetto dei principi di concentrazione e speditezza delle procedure di evidenza pubblica, e ciò anche al fine di scongiurare le sopravvenienze legate al passare del tempo, che spesso fanno sì che le condizioni tecnico-economiche fissate nei bandi e capitolati di gara non rispondano più alle effettive esigenze dall’Amministrazione aggiudicatrice.


Le motivazioni poste a base del ripensamento attengono, inoltre, ad aspetti di convenienza economica e di sostenibilità dei costi che erano verosimilmente già apprezzabili un anno prima, con l’ordinaria diligenza. Non si intravvedono, dalla delibera di revoca, avvenimenti nuovi ed imprevedibili che abbiano inciso sulla fattibilità economica dell’affidamento.

Né viene chiarito, nella motivazione della delibera, quale sia il nesso causale tra l’asserito maggior costo per il conferimento nella discarica di Deliceto e la decisione del Comune di abbandonare la gara in corso per la selezione del concessionario del servizio di igiene urbana.

Sussiste pertanto, sotto il profilo della colpevolezza, la responsabilità precontrattuale del Comune

Il giudizio di affidabilità ancorché sintetico non si dimostra illogico

il giudizio di congruità non deve essere condotto in una prospettiva atomistica e parcellizzata delle singole componenti dell’offerta

 ma deve investire quest’ultima nel suo complesso, onde accertare che il ribasso praticato non si attesti al di là del ragionevole limite segnato dalle leggi di mercato.




la verifica di anomalia non ha per oggetto la ricerca di specifiche e singole inesattezze dell’offerta economica, mirando, invece, ad accertare se l’offerta, nel suo complesso, sia attendibile od inattendibile, e dunque se dia o meno serio affidamento circa la corretta esecuzione dell’appalto

 ne consegue che il procedimento di verifica di anomalia è avulso da ogni formalismo inutile ed improntato alla massima collaborazione tra Stazione appaltante ed offerente; non vi sono preclusioni alla presentazione di giustificazioni; mentre l’offerta è immodificabile, possono essere variate le giustificazioni rese.

a cura di Sonia Lazzini


Passaggio tratto dalla sentenza 331 del 18 ottobre 2011 pronunciata dal Tar Umbria, Perugia

la verifica di anomalia non ha per oggetto la ricerca di specifiche e singole inesattezze dell’offerta economica, mirando, invece, ad accertare se l’offerta, nel suo complesso, sia attendibile od inattendibile, e dunque se dia o meno serio affidamento circa la corretta esecuzione dell’appalto (in termini Cons. Stato, Sez. VI, 21 maggio 2009, n. 3146; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 4 novembre 2009, n. 10828); ne consegue che il procedimento di verifica di anomalia è avulso da ogni formalismo inutile ed improntato alla massima collaborazione tra Stazione appaltante ed offerente; non vi sono preclusioni alla presentazione di giustificazioni; mentre l’offerta è immodificabile, possono essere variate le giustificazioni rese.

Parte ricorrente allega che le prime richieste di chiarimenti evidenziavano incongruenze dell’offerta nella valutazione dei tempi di lavorazione in relazione alla manodopera, che, poi, contraddittoriamente, con le tabelle allegate al verbale del 16 febbraio 2011, sono state ritenute superate.

Tale conclusivo giudizio di non anomalia, nei limiti del sindacato consentito al giudice amministrativo, non appare al Collegio illogico, nè affetto da errori di fatto.

In particolare, con la richiesta integrativa del 13 dicembre 2010, la Direzione Lavori Pubblici del Comune di Terni ha rilevato che «in relazione alla manodopera non è stato possibile valutare i tempi di lavorazione in quanto le altre voci di prezzo che concorrono a formare le singole analisi devono essere integrate; si richiede inoltre di voler fornire delucidazioni in merito alle paghe orarie indicate in analisi in quanto discordanti con quanto da voi indicato a pag. 2 dei giustificativi»; in altre parole, a bene intendere, la Stazione appaltante ha chiesto chiarimenti anche sulle altre voci di prezzo relative all’appalto per confrontarle con il costo della manodopera.

Le risultanze del verbale del 24 gennaio, da cui emerge la non congruità della manodopera, devono essere confrontate con le acquisizioni risultanti dal verbale del 16 febbraio successivo, da cui si evince, tra l’altro, l’esistenza di un’attestazione di Centro di trasformazione, comportante che le barre di acciaio arrivano in cantiere già sagomate, con conseguente riduzione dei tempi di lavoro, e l’utilizzo di un escavatore ammortizzato per la movimentazione del materiale all’interno del cantiere, con connessa riduzione del costo dei noli.

Ne discende un giudizio non illogico, seppure sintetico, espresso dall’Amministrazione, di globale affidabilità dell’offerta presentata dall’A.T.I. CONTROINTERESSATA.

Del resto, occorre considerare che il giudizio di congruità non deve essere condotto in una prospettiva atomistica e parcellizzata delle singole componenti dell’offerta, ma deve investire quest’ultima nel suo complesso, onde accertare che il ribasso praticato non si attesti al di là del ragionevole limite segnato dalle leggi di mercato.

Quanto al dedotto vizio motivazionale, il giudizio di congruità dell’offerta può essere sostenuto da una motivazione succinta, od anche per relationem alle giustificazioni rassegnate dall’offerente, poste a disposizione del soggetto interessato, che le ha infatti poste a base dei motivi aggiunti.

domenica 23 ottobre 2011

Le norme per l’escussione della cauzione provvisoria sono tassative

l’incameramento della cauzione provvisoria può essere disposto solo allorquando si abbia la mancata sottoscrizione del contratto per fatto “dell’affidatario”, e non invece anche quando si tratti di esclusione di un concorrente che non sia ancora divenuto affidatario

in caso di contemporanea partecipazione del consorzio e del consorziato alla medesima procedura di gara non è lecito escutere la cauzione provvisoria

L’art. 75 del D.Lgs. n. 163/06 prevede che “la garanzia copre la mancata sottoscrizione del contratto per fatto dell’affidatario, ed è svincolata automaticamente al momento della sottoscrizione del contratto medesimo”

Passaggio tratto dalla sentenza numero 2547 del 21 ottobre 2011 pronunciata dal Tar Sicilia, Catania



Il Collegio ritiene che il ricorso debba trovare accoglimento, in considerazione del fatto che, in effetti, la normativa di settore – sia l’art. 12, comma 5, della L. n. 109/94, e sia l’art. 36, comma 5, del D.Lgs. n. 163/06 – non prevede l’incameramento della cauzione provvisoria nelle ipotesi di contemporanea partecipazione del consorzio e del consorziato alla medesima procedura di gara, e poichè le norme sanzionatorie che prevedono l’incameramento della cauzione provvisoria hanno carattere tassativo, non possono essere estese ad altre ipotesi.

Oltretutto, il caso di specie non concerne un’ipotesi di esclusione per mancato possesso dei requisiti di ordine generale, né tanto meno un’esclusione per falsa dichiarazione.



Infine, l’art. 30, comma 1, L. n. 109/94, nel testo vigente nella regione Sicilia, prevede che “la cauzione copre la mancata sottoscrizione del contratto per fatto dell'aggiudicatario ed è svincolata automaticamente al momento della sottoscrizione del contratto medesimo. Ai non aggiudicatari la cauzione è restituita entro trenta giorni dall'aggiudicazione”.

Analogamente, l’art. 75 del D.Lgs. n. 163/06 prevede, ai commi 6 e 9, che “la garanzia copre la mancata sottoscrizione del contratto per fatto dell’affidatario, ed è svincolata automaticamente al momento della sottoscrizione del contratto medesimo”, e “la stazione appaltante, nell’atto con cui comunica l’aggiudicazione ai non aggiudicatari, provvede contestualmente, nei loro confronti, allo svincolo della garanzia di cui al comma 1, tempestivamente e comunque entro un termine non superiore a trenta giorni dall’aggiudicazione, anche quando non sia ancora scaduto il termine di validità della garanzia”.

Dalle citate disposizioni si desume che l’incameramento della cauzione provvisoria può essere disposto solo allorquando si abbia la mancata sottoscrizione del contratto per fatto “dell’affidatario”, e non invece anche quando si tratti di esclusione di un concorrente che non sia ancora divenuto affidatario.